domenica 13 giugno 2021

Can You Hear Me Major Tom?...

Posted: 21 Jan 2016 04:14 PM PST

Quando è morto John avevo vent'anni. Vent'anni e 44 giorni.
Amavo lui e gli altri Tre dal 1965, cioè dalla prima volta che mia sorella - di undici anni più grande di me - mi aveva fatto sentire un loro singolo (alla radio o col giradischi, non ricordo; avevo solo 5 anni).
L'amore con loro non è mai finito e non finirà mai, anche se oramai John e George ci (mi) hanno lasciato.
Se sarò ancora su questa terra quando se ne andranno Paul e Ringo, non so immaginare come reagirò. Per la morte di John ho pianto per tre giorni senza quasi riuscire a smettere. La morte di George mi ha colto un po' più preparato (lo sapevamo, tutto il mondo sapeva che era malato).
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Anche se non vorrei, il pensiero della morte è molto presente in me, da qualche anno, pur non soffrendo di alcuna malattia seria.
Da qualche tempo, omicidi a parte (come per John), muoiono uno dopo l'altro tutti i miti della mia vita.
Non posso non pensare a mio padre che, giunto alla stessa età che ho io adesso, diceva spesso "ma stanno morendo tutti!" intendendo tutti i suoi miti, gli attori e le attrici, i cantanti e le cantanti, i personaggi pubblici che amava.
Sta succedendo la stessa cosa anche a me.
Se ne vanno le persone che non ho mai conosciuto e che però sono state così incredibilmente importanti per la mia vita.
E la sensazione è orribile, terrificante.

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Un pomeriggio del 1972. Probabilmente ero un po' triste, com'è stato per la maggior parte dei pomeriggi della mia adolescenza. Cercavo di fare dei compiti, e fuori c'era il sole. Gli unici in casa eravamo io e mia madre, che spadellava qualcosa o forse puliva casa. La radio, come accadeva ogni giorno dalle 7 del mattino fino alle 7 di sera, era accesa.
Io continuavo a sentirla anche dopo tramite la mia radiolina a transistor rossa: Supersonic e Pop-off erano i miei programmi preferiti, quelli che probabilmente, insieme ai dischi dei miei fratelli e sorelle maggiori, hanno determinato la mia formazione musicale. (Credo di non esagerare affatto se dico che la musica abbia determinato gran parte di quello che sono).
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Potendo comprare personalmente non più di un long-playing ogni tre-quattro mesi, la radio, Ciao2001 e i dischi che prestavano a mio fratello erano le mie uniche fonti di conoscenza e formazione musicale.
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Quel noioso pomeriggio del 1972 ascoltai per la prima volta Starman di David Bowie.
Quel nome - David Bowie - io l'avevo già letto su Ciao2001 (e non sapevo come diavolo si pronunciasse). Il brano mi era piaciuto tantissimo, quindi fanculo i compiti e via a sfogliare tutti i miei Ciao2001 per trovare qualche sua foto.
Comiciò così, in modo magari un po' sciocchino, ma viscerale e autentico, la mia storia d'amore per David.

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Come sa bene chiunque si sia (molto) appassionato di musica fin da piccolo/a, durante l'adolescenza l'elemento estetico dei propri idoli musicali ha una certa importanza, ieri come oggi. Solo che "ieri" la musica restava comunque la componente principale, l'estetica veniva comunque dopo.
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Non avendo ancora, a 12 anni e mezzo, sviluppato pienamente i miei gusti bear devo dire che David Bowie mi piaceva molto anche esteticamente e quando, più di un anno dopo, riuscii a procurarmi un suo piccolo poster, ne fui felicissimo! Allora riuscire ad avere un poster era un'impresa tutt'altro che semplice: bisognava fare la guardia all'edicola della stazione centrale (l'unica che vendeva anche riviste straniere) e guardare con attenzione - senza toccare! - qualsiasi rivista fosse esposta e sperare di beccare il poster in omaggio. In genere la rivista che offriva più poster in omaggio era la tedesca Bravo!. Beh, certo, bisognava anche avere i soldi per comprarla e per questo venivano mobilitati persino i parenti. Ricordo che arrivammo a prendere, nel 1973, un poster dei Genesis... in condivisione! Sei mesi lo tenevo appeso io nella mia camera, sei mesi lo teneva il mio amichetto del cuore. Pare parlare dell'antica Grecia, e invece si tratta "solo" di 43 anni fa...
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Ok, il poster di Bowie era fatto, ora mancavano i dischi; non che in radio non venisse passato (qui per "radio" si intende la rai: non esistevano ancora le radio "libere") ma la vera passione è quella che ti fa rinunciare persino... ai fumetti pur di comprare gli album dei tuoi miti musicali!
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Per guadagnare il denaro necessario a comprare i long playing facevo qualche oretta di lavoro il pomeriggio in una cartoleria vicino casa, inoltre mi barcamenavo con la compravendita dei fumetti che possedevo (o che "ereditavo": avevo molti zii, mia madre era la seconda di quindici fratelli e sorelle...). E poi c'erano i regali, natale e compleanno: immancabilmente come regalo chiedevo un long playing.
La mia piccola collezione di long playing cominciò ad arricchirsi di album di David Bowie, che ancora non era diventato il Duca Bianco.

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Tra i miei personali momenti musicali extra-Beatles più importanti, c'è il primo ascolto di Diamond Dogs, l'album di Bowie uscito nel 1974: a malapena quattordicenne, sdraiato a pancia in giù sul divano di skai rosso nella "mia" cameretta piansi senza quasi riuscire a smettere quando attaccò l'inizio della mini-suite Sweet Thing - Candidate - Sweet Things Reprise. Non sarà il suo pezzo migliore, ma ancora oggi quando lo ascolto devo trattenere le lacrime e, che sia il suo pezzo migliore o meno, per me resta uno dei brani musicali più belli dell'universo. (Lo ascolto, commosso, anche in questo momento)
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Ogni suo nuovo album era diverso dal precedente, lui era sempre diverso dal Bowie precedente e non c'era mai alcuna possibilità di "già sentito" e tantomeno di "già visto": David ci stupiva, ci ammaliava, ci commuoveva, ci straziava letteralmente l'anima, ci riempiva di cocci di vetro glitterato che tintinnavano e tintinnano ancora dolorosamente dentro il cuore e ci svuotava come bambole di pezza, sempre e sempre, ogni volta, a ogni album, a ogni ascolto, a ogni canzone, il Maggiore Tom, l'Uomo che Vendette il Mondo, Ziggy, Aladdin, il Giovane Americano, il Duca Bianco, l'Eroe, l'Affittuario, il Clown e sempre e sempre fino alla Stella Nera...
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.Per me, da sempre, la vita è nettamente divisa: da un lato le cose poco importanti e che mi fanno sentire prigioniero in un mondo nel quale mi sono sempre sentito un po' estraneo e nel quale il mio respiro è come mozzato, dimezzato, faticoso: il lavoro, la casa e le sue incombenze, il denaro, il chiacchiericcio che mi circonda; poi c'è l'Altra parte, il mio vero mondo, quello in cui la mia coscienza si espande e abbraccia l'universo intero: la Musica.
La musica è la mia massima emozione, insieme all'Amore (ma non so concepire l'uno senza l'altra). La musica non è un insieme di note matematicamente corretto, cioè certo, lo è anche, ma tutto ciò che costruisce la vera musica è sotteso dall'emozione e l'unico suo scopo è emozionare. Non "intrattenere", non "far battere il tempo", non "vendere dischi", non "parlare di musica".
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Da quel pomeriggio del 1972 ho seguito ogni nuova uscita di David (noi che lo amiamo l'abbiamo sempre e solo chiamato David, e così continueremo a fare tra di noi e dentro di noi) e ho ascoltato ogni sua nuova uscita col cuore fermo per l'emozione e per la paura,la paura che il tuo idolo possa in qualche modo deluderti.
[Quella paura si è orribilmente materializzata durante gli Anni 80, quando David ha partorito album talmente brutti (Tonight e Never Let Me Down) da fargli dichiarare di vergognarsene, direi più che comprensibilmente.]
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Una delle gioie più grandi è stata quella di poterlo vedere due volte dal vivo, in condizioni perfette lui, in condizioni di perfetta visibilità e di perfetto suono, entrambe le volte con una band strepitosa (purtroppo ai tempi degli Spiders from Mars ero troppo piccolo...) 
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Mentre ora uno dei dolori più grandi è la consapevolezza che non potrò vederlo mai più. Se non in sogno.
Non ci sarà più l'attesa di un nuovo album, anche registrato da una voce vecchia e stanca, anche non proprio bello, anche ansimato delicatamente... tutto sarebbe meglio piuttosto che sapere che David se n'è andato.
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Quando ho letto della sua morte erano le 7.30 del mattino e io ero già in ufficio, sfogliavo instagram e mi sono imbattuto nella peggiore delle immagini, la scritta che David era spirato quella stessa notte circondato dall'affetto dei suoi famigliari. Dopo che il mio cuore ha perso due o tre colpi e un immediato senso di vuoto mi ha riempito lo stomaco (o era l'anima?...), mi sono subito ripreso: che furbacchione - ho pensato - questa è un'ottima mossa pubblicitaria per aumentare le vendite del nuovo album! Poi sono andato subito a conbtrollare su wikipedia: c'era ancora solo la data di nascita! Evviva! David non è affatto morto! Ah ah ah! Che tipo!

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Pochi minuti dopo è entrata la mia collega e la sua prima frase è stata: "Hai sentito? E' morto David Bowie!" ma io non ci credevo e le ho subito esposto la mia teoria sull'aumento delle vendite dell'album e sono andato sulla pagina di wikipedia per dimostrarle che...

...e invece quelli di wikipedia avevano già corretto: ora compariva anche il luogo e la data di morte. Che sciocchezza, ho pensato, anche wikipedia ha creduto alla trovata pubblicitaria...
La collega intanto sfogliava le prime pagine dei giornali in rete e mi confermava che David Bowie non era più su questo mondo.
Quello che è mi è successo dopo non vale la pena di essere raccontato. Solo, non riesce a passarmi questa maledetta tristezza, non riesco a rendermi davvero conto che David non c'è più. Forse lo pensavo immortale, credevo che sarebbe sempre rimasto qui, anche molto vecchio, anche molto malato.
E invece non c'è più. E se non scrivevo qualcosa mi scoppiava il cuore, anche se sono passati diversi giorni ormai da quella maledetta mattina in ufficio.
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Da quel giorno non riesco a pensare a molto altro; certo, faccio tutto quanto quel che devo fare, e rido e scherzo (forse solo un po' meno del solito), ma dentro sono un po' morto anch'io. Che esagerazione, certo, lo so, che esagerazione! Non era nemmeno un mio parente! (Evidentemente non sapete quanto poco me ne fotte dei parenti).
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Continuo a pensare agli innumerevoli momenti di gioia intensa, di dolore straziante, di sogno, di rabbia, di speranza, di sublime godimento estetico che le canzoni di David mi hanno dato dal 1972 ad oggi, ricordo moltissimi di quei momenti, ricordo la prima volta che ascoltai Five Years e piansi fino ad addormentarmi; il pianto è un'emozione che ho provato infinite volte ascoltando le sue canzoni. Ricordo i pomeriggi passati con le due Patrizie cantando a squarciagola le sue canzoni e quanto difesi l'album Young Americans a dispetto delle critiche negative che si era guadagnato (in quell'album c'è una canzone che ascolterei dieci volte al giorno tutti i giorni: Somebody Up There Likes Me...) ricordo quanto ci sconvolse la Trilogia Berlinese e che quando arrivò il punk, e ne abbracciai subito estetica e musica, capii quanto David avesse anticipato mille cose e fosse già avanti cent'anni.
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Se non scrivevo qualcosa, se non vedevo i miei pensieri (che banalità... tutto qui? davvero è tutto qui quello che provo e che ho provato?... quanto è limitante avere un piccolo cervello che deve faticosamente guidare un'anima disordinata e triste...) se non dicevo in qualche modo al mondo il mio dolore per la morte di David, mi sarebbe sembrato di non riuscire a liberarmi. E se non avessi avuto questo stupido blog? Avrei riempito qualche paginetta di uno stupido diario, forse. Avrei pianto di più o avrei pianto di meno, non lo so. Se fossi stato meno emotivo, più colto, ordinato e preparato e serio avrei scritto un bellissimo articolo commemorativo con una analisi ragionata dell'opera omnia del Camaleonte del Rock (dio, che definizione cretina!...) e avrei spiegato perché ascoltarlo e cosa ascoltare, quali album privilegiare e avrei certamente accennato alle suenumerosissime produzioni e collaborazioni, e Lou Reed e Iggy Pop e Mick Ronson e la cocaina e l'esoterismo e il presunto neofascismo e il sax e, e, e, e, e...
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...Can you hear me Major Tom?...


Orlando
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