mercoledì 9 giugno 2021

Vincent, di Barbara Stok

 Posted: 12 Aug 2014 10:23 AM PDT

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Vincent

di Barbara Stok

vol. brossurato, colori,
144 pag.

euro 15


Bao Publishing

 

“Se quello che fai ti fa vedere l’eternità, allora la tua esistenza ha avuto un senso.” - Vincent, di Barbara Stok

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Il fumetto viene spesso associato al cinema, al punto che qualcuno prendendo spunto dal termine “settima arte” per definire il cinema, ha coniato l’altrettanto orrendo “nona arte” (che in quanto a orrore e senso di colpa mal digerito fa il paio con “graphic novel”, e non m’interessa se quest’ultima definizione l’ha inventata uno dei più grandi geni del FUMETTO).
Il fumetto ha anche tratto, dal cinema, una certa fraseologia tecnica, come ad esempio quella che riguarda i piani di inquadratura e anche il concetto stesso di inquadratura. [1]

Il fumetto viene accostato/associato anche ad altre forme di comunicazione e/o intrattenimento, come ad esempio i videogiochi.
Non poche, infine, sono le commistioni tra fumetto e musica: biografie di musicisti/e, storie di band, interazioni tra fumettisti/e e musicisti/e ecc.

Fumetto e letteratura, poi, hanno interagito numerosissime volte e continuano a farlo, gli esempi sono talmente numerosi da essere difficilmente quantificabili.

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Ma l’accostamento tra fumetto e arte non è poi così frequente, seppure non mancano artisti famosi tra i protagonisti di storie a fumetti oppure ambientazioni nel mondo dell’arte (ad esempio: la miniserie Jan Dix della Bonelli Editore, conclusasi nel 2010; o ancora alcune pregevoli realizzazioni a fumetti della giovane casa editrice Kleiner Flug, italianissima a dispetto del nome).

Il bellissimo volume di cui voglio parlare – Vincent, di Barbara Stok - non soffre di alcun senso di colpa nei confronti dell’arte “seria”. Per lo meno questa è l’impressione che mi ha dato e tutto il volume, dalla scelta del soggetto e del periodo allo stile e al linguaggio usato, conferma questa opinione. E’ uno splendido fumetto, non ha bisogno d’altro né di altra definizione.

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Non ci sono scorciatoie per sconfiggere la (propria) ignoranza; google non sostituisce la lettura di libri e articoli, la visione di film, l’approccio con la realtà e la conseguente riflessione. Per sapere bisogna faticare, leggere, studiare, pensare.
Come mi fece notare in modo molto maleducato qualche tempo fa un tale sotto pseudonimo, l’ignoranza è una scelta; s’intenda per chi vive qui e oggi ossia con le molteplici possibilità di istruzione e auto-istruzione. Quel tale fu maleducato, supponente, offensivo e antipatico, però aveva ragione.

Ecco, tutta questa pappardella per dire, in modo contraddittorio [3] che questo magnifico e commovente volume mi ha “insegnato” molto su Van Gogh; è stata una – a questo punto necessaria – integrazione su quanto sapevo e pensavo di lui, pittore che ho sempre amato.

Il fumetto di Barbara Stok non sostituisce, ovviamente, la personale e diretta visione dei quadri di Van Gogh, eppure riesce a penetrarne l’anima in modo profondo e sincero e, ciò che è più importante, riesce a comunicare tutto questo a chi legge.

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Vincent racconta la vita di Van Gogh in quel breve e intensissimo periodo che va dal suo trasferimento ad Arles nel 1888 fino alla sua morte, avvenuta in modo tragico nel 1890, alla sola età di 37 anni. A questo proposito: non ci sono date nel fumetto, tranne che nell’ultima, triste vignetta; quest’assenza di date in un racconto non ambientato nella contemporaneità, fa sì che la storia dia una sensazione di fluttuazione in un tempo/non-tempo…

La base da cui parte il racconto – e che lo percorrerà tutto - è il rapporto che lega i due fratelli Van Gogh: Theo è l’affettuoso mecenate e primo ammiratore e sostenitore dell’opera del fratello pittore, Vincent, il quale è dotato di una straordinaria, quasi sovrumana sensibilità artistica, decisamente avanti sul proprio tempo.
Theo, anch’egli uomo sensibile e, come già detto, affettuoso, è la realtà concreta, i piedi per terra, risolutore dei problemi materiali del fratello, è ottimista seppur preoccupato perché cosciente della fragilità del fratello artista.

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Gli ultimi due anni di vita del pittore olandese sono quelli nei quali produsse i suoi più splendidi capolavori e sono anche quelli nei quali la sua sofferenza personale e la frustrazione raggiunsero apici umanamente insopportabili. Sono dunque, parlandone da un punto di vista freddamente razionale, gli anni più interessanti da essere raccontati e per noi posteri, che non possiamo percepire il dolore dell’uomo Van Gogh, il centro di tutto restano i meravigliosi quadri dell’artista Vincent Van Gogh.

Ma, e qui sta l’efficacia dell’opera di Barbara Stok, Vincent riesce a coniugare vita, profondità dell’essere e arte, in modo tanto semplice quanto profondo e ci mostra l’uomo insieme all’artista.

E’ interessante la visione che dei suoi quadri ne dà col linguaggio del fumetto l’autrice olandese: coglie l’essenza dell’arte di Van Gogh e la traspone in un modo e in uno stile personalissimi, in una storia a fumetti perfettamente conclusa e funzionante in sé.

La raffigurazione in vignette dei quadri o di porzioni di essi, si inserisce nella storia/biografia dell’artista, ma allo steso tempo fa “storia a se’” in quanto in quelle vignette è tangibile la sensazione del tempo che si ferma e si “fissa” in un istante eterno e al di fuori della storia (a fumetti) e della Storia.

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Il tipo di linguaggio e di stilemi usati dall’autrice può ovviamente piacere o meno [a me è piaciuto moltissimo, se non si fosse capito], ma è obiettivamente molto interessante l’approccio personale usato, la scelta del tipo di linea, di segno e di colore e soprattutto l’intersecarsi, senza alcun tipo di discrasia, della vita di Van Gogh con la raffigurazione dei suoi quadri i quali appaiono, come già detto, “fuori dal tempo”.

Molto umane, invece, sono le emozioni per lo più drammatiche vissute da Vincent Van Gogh nei suoi ultimi due anni di vita e descritte così magistralmente da Barbara Stok: l’insorgere delle “crisi” (di tipo epilettico?) che lo portarono a lunghi momenti di confusione mentale e autolesionismo con conseguente ricovero in casa di cura, furono la tragica apoteosi di una breve vita fatta di incredibili lampi di genialità artistica coronati da una sterminata produzione di quadri e disegni e di perenne, infinita frustrazione e solitudine.

Il suo ossessivo rapporto con Paul Gauguin, il suo sogno di dar vita a un’associazione di artisti se non a una vera e propria “casa di artisti”, il suo desiderio di un’arte pura e sincera, il suo profondo anelito d’infinito… tutto ciò si sgretolò nella tragedia della sua “malattia mentale” (che nessuno riuscì mai a diagnosticare in modo univoco). Van Gogh non potè mai sapere di quanta fama e gloria postume godette.

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Non bisogna pensare però che l’intero volume sia zeppo solo di tragedia, proprio come nessuna vita è mai interamente e completamente tragica (o almeno così ci piace sperare…) e proprio come Van Gogh stesso dice al fratello Theo:

“Vedo il futuro pieno di problemi, ma non sono triste. Ho fortuna e sfortuna, non solo sfortuna. Sarà quel che sarà.”

Nei suoi ultimi due anni di vita Van Gogh ha vissuto anche (brevi) momenti di serenità e di ineffabile felicità, che d’altronde sono due stati della mente che non possiamo sperare siano perenni: si tratta, come per tutti/e, solo di momenti fugaci e di obiettivi che ci permettono di andare avanti, ma che non si raggiungono mai, se non appunto per brevi istanti.

Certe parti di Vincent mi hanno commosso fino alle lacrime, altre mi hanno fatto sorridere, ho riletto il volume tre volte di seguito e soprattutto mi sento più ricco di quanto non fossi prima di leggerlo.
Dire che lo consiglio spassionatamente è un blando eufemismo.

“Le stelle mi fanno venire in mente i puntini neri che indicano le città e i paesi su una carta geografica. […] Come prendiamo il treno per andare a Tarascon o Rouen, così prendiamo la morte per andare su una stella.”

 

Orlando Furioso (Agosto 2014)

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Note:

[1] Il cinema ha ricambiato la cortesia definendo “fumettoni” i film brutti. Ah-ha!

[2] …al punto, appunto, che ci si è sentiti in dovere di inventare neologismi quali “graphic novel” o il più casareccio “romanzo disegnato”, quando non l’altisonante “letteratura disegnata” (ellamadònna!) o infine uno degli slogan più presuntuosi che abbia mai sentito – soprattutto per l’erbafascismo che comporta – ossia il terrificante “porta rispetto è arte il fumetto”. Brrrr!!!!

[3] …le cose più interessanti non sono forse anche le più contraddittorie?…