giovedì 3 giugno 2021

Una vita tra i margini - Yoshihiro Tatsumi

 Posted: 25 Nov 2012 01:50 PM PST


Una vita tra i margini
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di Yoshihiro Tatsumi

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volumone brossurato 16,5x22
con sovracoperta,
pag. 848, b/n

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€ 29,00
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BAO Publishing
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Nel 1957 il ventiduenne Yoshihiro Tatsumi coniava il termine gekiga, che significa "immagini di forte intensità" o "immagini drammatiche".

Al tempo non lo sapeva, ma stava per diventare una delle figure più rappresentative del fumetto, e dico del fumetto e non "del manga" per due motivi: 1. il mercato del fumetto giapponese è il primo al mondo per volume di uscite e vendite, quindi ogni fenomeno che lo riguarda ha la sufficiente dignità (se ne facciano una ragione i detrattori) per riguardare il Fumetto tutto; 2. proprio con l'ideazione del gekiga Tatsumi intendeva fortemente andare "contro" la corrente definizione di "manga" (= "immagini libere"; "immagini stravaganti"; "immagini comiche") o meglio, intendeva creare un'alternativa ad esso.

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Tatsumi si era appassionato moltissimo ai fumetti sin dalla più tenera età e già da giovanissimo aveva cominciato a inviare le sue storie alle riviste di manga come "Manga Shonen", fino al momento in cui, inaspettatamente, risultò vincitore di un concorso indetto tra i lettori.
Da quel momento Tatsumi non smise più di scrivere e disegnare.
Riuscì anche a coronare uno dei suoi sogni di ragazzo, cioè incontrare Osamu Tezuka, che all'epoca aveva già raggiunto una notevole fama in Giappone (anche se ancora non veniva chiamato "manga no kamisama", dio dei manga) e ascoltare dalla sua voce i preziosi consigli che solo un maestro può dare.

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Nonostante l'influenza di Tezuka, nel 1957, insieme a un gruppetto di altrettanto giovani disegnatori tutti provenienti dal Kansai, Tatsumi creò questo nuovo "genere" che da Tezuka si allontanava moltissimo e che dopo discussioni con gli altri membri del gruppo, chiamò appunto gekiga [1], le cui quattro qualità essenziali sono: 1. incremento del fattore psicologico; 2. realismo delle descrizioni grafiche; 3. riduzione drastica, o abolizione, dell'elemento comico e umoristico; 4. target non infantile, ma giovanile e adulto.
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Oltre a Tatsumi altri autori del gruppo erano Takao Saito, Sampei Shirato, Yoshiharu Tsuge e in seguito anche Shigeru Mizuki.
Il primo strumento per la diffusione del nuovo genere gekiga furono i negozi di libri a prestito (kashihonten), molto in voga all'epoca: con il pagamento di una piccola quota vi si potevano leggere in loco i manga ed erano molto frequentati, soprattutto da un pubblico decisamente non intellettuale.

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Questa storia, appassionante e avvincente in un modo che le righe qui sopra non riescono nemmeno lontanamente a comunicare, è raccontata nelle 848 pagine di Una vita tra i margini.
Dodici anni ci sono voluti perché la pubblicazione dell'opera fosse conclusa in Giappone; due intensissimi pomeriggi sono occorsi al sottoscritto per leggere l'enorme, magnifico volume che racconta gli anni, fondamentali per il fumetto e per Tatsumi, che vanno più o meno dal 1956 al 1960.
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Una vita tra i margini - dove i margini sono ovviamente quelli della pagina, quelli tra una vignetta e l'altra, ma anche quelli della propria fantasia e creatività, quei margini- limiti che gli autori cercano  continuamente di superare - racconta una parte importantissima della storia personale dell'autore, ma anche importante per la storia del fumetto e per la storia stessa del Giappone.
Il gekiga fu una piccola ma importante rivoluzione che, ben prima delle nostrane polemiche sulla presunta nocività dei "cartoni giapponesi", scatenò nel suo stesso Paese d'origine scandali e interrogazioni, iniziative di genitori e insegnanti atte a boicottare, quando non addirittura a proibire, la diffusione di quei nuovi manga privi di tratti gentili e arrotondati e con soggetti scomodi e duri, come quelli dell'hard boiled statunitense (di cui Tatsumi era avido lettore). Il genere poliziesco è infatti quello che inizialmente il gekiga predilige, ma non mancheranno i grandi affreschi storici o i racconti del mistero.

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La storia che Tatsumi racconta in Una vita tra i margini non è una fredda descrizione dei fatti, è anzi densissima di sentimenti, ricca di stati d'animo intensi e coinvolgenti, come i rapporti dell'autore con la sua famiglia (fondamentale il fratello, mangaka anch'egli), con Tezuka, con gli altri disegnatori che faranno parte del gruppo, con gli editori, con le persone che incrocia in quel periodo, tutte dipinte con un amore quasi palpabile e spesso in contrasto coi luoghi comuni e i pregiudizi che noi Europei abbiamo nei confronti dei Giapponesi. L'autore parla di se stesso con una franchezza, una sincerità e una profondità che commuovono. Si mette in gioco senza mentire al lettore e questa è una qualità preziosa e rara, che merita di essere accolta con favore.
Una vita tra i margini è anche una profonda riflessione sul linguaggio dei manga, sul suo sviluppo, le sue potenzialità.
Ed è la storia di una inesauribile, bruciante, divorante passione.
Le sensazioni di successo e di fallimento sono frequenti e numerose, segno concreto della enorme passione e delle grandi aspettative che l'autore nutriva verso il gekiga e il manga in generale.

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Questo lunghissimo manga ("lunghissimo" qui non ha nessun accento negativo) parla anche del desiderio fortissimo da parte dell'autore di scrivere storie lunghe e introspettive, andando in un certo modo contro la tendenza dell'epoca che prevedeva brevi racconti autoconclusivi: si tratta dunque, anche, della realizzazione di un desiderio (che racconta il desiderio stesso).
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Nulla di noioso o scontato nelle magnifiche 848 pagine di Una vita tra i margini: il dono di Tatsumi, oltre a quello di un disegno pulito, accattivante, gradevole nella sua linearità e nella perfezione del tratto, evidentemente è anche quello di rendere interessante e fluida ogni situazione raccontata, sia la più quotidiana che la più "tecnica", come le numerose situazioni in cui vengono narrate le riunioni redazionali, i rapporti con gli editori, le difficoltà col mercato, l'evoluzione politica del mondo circostante.
Ne consiglio fortemente la lettura ai/alle fumettisti/e o aspiranti tali.

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Infine: ho letto (=divorato) in soli due giorni ciò che un mangaka ha impiegato dodici anni per realizzare. Evidentemente il racconto avvince, incuriosisce, stimola, come ho già detto.
Detto ciò, lo spessore del racconto e l'enorme quantità - e qualità - di cose raccontate, permettono, anzi prevedono, una o più riletture nel corso del tempo.
Credo che questo manga possa essere considerato un classico e, com'è noto, i classici sono quelle opere che anche a distanza di tempo hanno sempre qualcosa da dire.
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Orlando Furioso (Novembre 2012)
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Note:
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[1] Tutte le informazioni tecniche di questo scritto sono tratte dal fondamentale "Storia del fumetto giapponese" di Maria Teresa Orsi, edizioni Musa, 1998

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