domenica 27 giugno 2021

Quarantennale del Punk - Pt. 3





Terza parte del mio
Quarantennale del Punk


...dove continuano gli attacchi
più che al Potere, di panico;
si scioglie una band,
si cementa un'amicizia,
si fa la fame e non per dire.













Eravamo rimasti alle tensioni all'interno del 5° Braccio [1] e a quelle in casa con P., e queste ultime mi par di capire abbiano suscitato un po' di più che legittima curiosità.
Ma prima di cominciare con la mia - a quel punto già disastrosa - coabitazione con P., ormai ex batterista del 5° Braccio, coabitazione che continuò per alcuni mesi dopo la sua dipartita dalla band, vorrei però raccontare brevemente dei primi concerti punk torinesi, cui partecipai anima e cuore (e corpo).
[Perdonate il disordine narrativo, ma mi rendo conto che nel precedente scritto ho trascurato di parlare di alcune cose importanti e non amando manipolare/correggere quanto ho già pubblicato, le inserisco ora.]

La prima cosa da dire è che nel 1982, insieme al 5° Braccio, al siluraggio di P. dalla band e al nascere, veloce, di una nuova "scena" torinese, arrivarono anche nuove amicizie, la più importante delle quali fu quella con PS., una ragazza di qualche anno più giovane di me che da allora divenne una delle figure importanti della e nella mia vita. [Ebbene sì: siamo amici ancora oggi, anzi è la mia più cara amica, una delle persone che meglio mi conoscono.] Anche se PS. non sarà continuamente citata, dovete immaginate che in ogni cosa che racconterò lei era presente. Non solo: parte dell'iconografia a corredo di questi miei scritti proviene da lei, che è realmente memoria storica di una parte importante del  punk italiano.


5° Braccio (Torino, 1982)



La dimensione amicale era, o così credevo allora, una componente importante della "scena" punk torinese, e italiana in generale: le persone dovevano avere idee politicamente affini ed essere amiche le une con le altre. Andava stravolto il concetto in uso nelle altre "scene",  in primis quella musicale, o peggio ancora mainstream- wannabe, dove ciò che importava erano solo il successo, la fama, il denaro, tre cose che la scena punk torinese e italiana disprezzava.

Dunque nuove amicizie e - oltre alle panchine di Piazza Statuto, storico ritrovo dei punk torinesi - una nuova "mini-sede provvisoria" in cui un ristretto nucleo di persone, il 5° Braccio, la mia amica PS. e poche/i altre/i, si trovava per chiacchierare e progettare concerti e fanzine: casa mia coi suoi 15 metri quadri scarsi e l'umidità del Mato Grosso a farci perenne compagnia.

Poco più tardi i punk "anarchici" [le virgolette perché, come già detto, non tutti eravamo davvero anarchici, ma per vari motivi - tra cui la "comodità" di definirsi come il resto del gruppo - ci portava a non indagare troppo su quell'aspetto; c'è però da dire che al di là dell'ideologia le amicizie con i compagni anarchici erano per la maggior parte reali e sincere] trovarono davvero una sede per le riunioni e per progettare le iniziative, e fu la sede degli anarchici di Via Ravenna. Lì avvennero le riunioni sui concerti da organizzare, le band da invitare e soprattutto lì avvennero le, spesso interminabili, discussioni su chi poteva suonare ai concerti e chi no.



fanzine assemblata in casa mia dal collettivo Punx Anarchici (TO)



Se da un lato capivo e capisco bene che in un'iniziativa autogestita connotata politicamente fosse e sia importante invitare chi ha una certa affinità col "progetto generale", dall'altro lato viste col senno di poi quelle riunioni mi appaiono ora come censorie, discriminatorie e un po' "staliniste": perché se è giusto non invitare a un concerto band destrorse o politicamente troppo ambigue, non è però giusto chiedere "professioni di fede" [quanto "sincere" lo si può immaginare] .

Bisogna tenere conto che in quegli anni a Torino - e in generale dappertutto - era molto difficile suonare dal vivo e organizzare concerti, quindi escludere una band aveva un'importanza che trascendeva la "dimensione politica".


Luca Abort (1982)


Nel frattempo non avevo un amore, frequentavo il corso triennale per educatori, facevo il tirocinio nei servizi pubblici e continuavo a lavoricchiare e continuavano gli attacchi di panico. Mangiavo poco, anzi pochissimo,  facevo quattro/cinque pasti in tutto alla settimana, e infatti pesavo poco più di 70 kg [sarà per quello che ora sono un ciccione golosissimo?...]

Mio padre ogni tanto veniva a trovarmi nei miei terribili 15 metri quadri e insisteva perché andassi almeno mangiare a casa loro (una volta pianse anche, e fu l'unica volta in vita mia che lo vidi piangere, preoccupato nel vedermi così magro e "trasandato", per non dire di quell'obbrobrio di casa...), ma io ero troppo orgoglioso, e anche arrabbiato con lui perché "non si era mai accorto della mia situazione di disperazione e della vita di inferno che i miei attacchi di panico mi procuravano"
Quel mio essere così povero, magro, e sistemato in una stamberga (altro che "precario"...) era il mio grido di indipendenza e di libertà. Povero, affamato, ma libero. Non che fossi un "eroe romantico", anzi: per le persone della mia generazione era un valore comune e condiviso l'essere indipendenti dai propri genitori, era come il Vero punto di partenza della propria vita, il vero inizio della crescita individuale e personale.



uno degli ultimi concerti del 5° Braccio


Organizzavamo i primi concerti in un "centro d'incontro", quello del quartiere Vanchiglia (subito soprannominato Vankiglia, perché la "k" è sempre più ribelle e rivoluzionaria della "c", come già i beatniks sapevano), ma prima di entrare più nel dettaglio, faccio un passo indietro e torno alla drammatica fine della coabitazione tra P. e me. Che so essere la cosa che interessa maggiormente.

Dunque l'aria in casa era oramai irrespirabile: oltre a vivere nella stessa stanza senza parlarsi se non per le comunicazioni di servizio, in quel periodo - vivaddìo!  - ero riuscito ad avere qualche "contatto ravvicinato" con qualche giovanotto che però si poteva mettere in atto solo se  P. se ne andava a fare un giro e, data l'atmosfera, capitava sempre più spesso che per dispetto - o perché fuori c'era brutto tempo -  P. non si rendesse disponibile ad uscire di casa, quindi i miei "contatti ravvicinati" sfumavano, con comprensibile risentimento [è un eufemismo] da parte mia.

Fino a che un "bel" giorno, quello del mio compleanno, P. mi fece trovare un biglietto d'auguri sul tavolo, cosa che io - in quell'atmosfera di odio che oramai regnava sovrana tra noi - interpretai come pura presa in giro (e credo che non fossi troppo in errore). Quindi le dissi testualmente che "poteva prendere quel biglietto, arrotolarlo e ficcarselo su per il culo" e credo proprio che furono le ultime parole che le dissi.
Se ne andò, senza portarsi ancora nulla delle sue cose, e andò a disdire il contratto d'affitto dei 15 metri quadri di quell'orrida stamberga (contratto che era a lei intestato) senza dirmi nulla, confidando a una vicina di casa che "così il padrone di casa mi avrebbe trovato lì abusivamente e mi avrebbe buttato fuori", ah-ha. La vicina di casa però era una persona sensibile e venne, in lacrime, a confidarmi tutto quanto.

In fretta e furia, supplicando qualche amico di aiutarmi, caricai i quattro "mobili" che avevo e li stipai in un magazzino che un amico gentilmente acconsentì a prestarmi, il medesimo amico mi ospitò per un mese a casa sua, mentre io contattavo il padrone di casa dicendogli che "avevo saputo che la monocamera di via S. si era liberata e se, insomma, me l'affittava". Il padrone di casa fu felicissimo di trovare un altro scemo che andasse ad occupare quella topaia e ovviamente provvide subito ad aumentarmi l'affitto.
Di nuovo in fretta e furia riportai le mie quattro cose nella topaia, dimenticai P. e finalmente torniamo ai concerti e a quello che accadde dopo.


5° Braccio (Torino, 1982)


La mia reale e mai ostentata povertà - non potevo permettermi nulla: una volta pagato affitto e bollette non mi rimaneva in tasca niente, non mi impediva però di essere al corrente di tutto ciò che di nuovo accadeva nella scena punk italiana e mondiale.
Già da un paio d'anni il chitarrista del 5° Braccio Tax, aveva avuto la geniale idea di diffondere la musica punk tramite cassette duplicate in casa una per una, con copertine fatte in casa anch'esse (prodotte con un instancabile lavoro manuale di collage, disegni, scritte; viste oggi sono realmente dei piccoli capolavori!), vendute a prezzo politico, ossia quanto bastava per coprire le spese di cassette vergini e le fotocopie. Eravamo veramente bravi/e a produrre cose così belle con quel poco o niente che avevamo.

Ricordo interi pomeriggi e serate passate a tagliare i fogli A4 delle fotocopie, perché da ogni foglio ricavavamo 4 copertine. Quelle cassettine erano spedite letteralmente in tutto il mondo [e oggi sono ricercatissime al mercato del collezionismo] e ovviamente una volta spedite perdevamo il controllo della musica in esse contenuta, al punto che un brano di una di quelle cassettine registrate con mezzi di fortuna, entrò - al 14° posto - nella classifica indipendente inglese nel New Musical Express: si trattava di un pezzo scritto da me, eseguito coi Fiori del Male, di cui ho parlato nel precedente capitolo.



Torino198X - questa tape autoprodotta da noi ha fatto il giro del mondo.
Se vuoi ascoltarla: QUI


Noi punk torinesi, o punx come preferivamo firmarci, per differenziarci dal "punk 1977" visto oramai come un fenomeno commerciale e perfettamente inglobato nel sistema dell'industria dell'intrattenimento (quindi reso completamente innocuo) avevamo preso possesso, non formalmente ma di fatto, di un centro d'incontro, uno di quei luoghi normalmente abbastanza squallidi che rappresentavano i rimasugli, perfettamente inglobati nel sistema (anzi: si rivelarono laboratori "sui giovani" a nostra stessa insaputa) di quelli che qualche anno prima erano stati i Circoli del proletariato giovanile, che erano luoghi di aggregazione giovanile fortemente politicizzati e che vennero brutalmente chiusi e cancellati.

La sinistra istituzionale, i partiti e gli enti locali avevano provveduto a cacciare i facinorosi, a ri-appropriarsi degli spazi occupati e a inserirvi degli animatori culturali, in pratica dei controllori travestiti da amici. In queste strutture la funzione di controllo era innegabile, al di là della buona fede o meno degli animatori direttamente interessati.
Comunque la maggior parte di noi punx era in buona fede e ci si faceva, come dicono i francesi, un culo così per organizzare concerti, formare band, provare, scrivere e assemblare fanzine, tenersi in contatto con le altre "scene" italiane ecc. ecc. Tempo per annoiarsi non ce n'era davvero. Inoltre suonavamo spesso in giro, esclusivamente in posti occupati o comunque in situazioni autogestite e/o per cause delle quali eravamo convint* sostenitori/trici.





L'organizzazione dei concerti in particolare era piuttosto impegnativa, ma i risultati superarono sempre le più ottimistiche aspettative. Nel centro d'incontro di Vankiglia, oramai la nostra "base", oltre alla sede degli anarchici di via Ravenna, veniva allestita una sala per la stampa in serigrafia dei manifesti che pubblicizzavano il concerto [quello del concerto "Contro la disperazione urbana" lo potete vedere come prima immagine di questo scritto, lì sopra] e coi quali tappezzavamo le zone strategiche della città e non c'era nessuna scusa per il disimpegno: se non ti "sbattevi" per il concerto, la tua band non avrebbe suonato. Metodo meritocratico che mi troverebbe perfettamente d'accordo anche oggi e che non ha nulla a che vedere con la "meritocrazia" classicamente intesa, ma più con la concezione marxista del  "da ognuno/a secondo le sue possibilità"

Prima, naturalmente, si contattavano le band che venivano da fuori città, quando non da fuori Italia, come quando vennero gli  MDC da San Francisco e alcuni membri della band li ospitai per la notte a casa mia. Poi si noleggiava l'impianto sonoro. E infine si aspettava con ansia il giorno del concerto.



MDC, John Wayne (1982)



Si cominciava a lavorare dal mattino: con scotch pesante univamo le gambe dei tavoloni bianchi: ecco fatto il palco. Arrivava l'impianto sonoro e montavamo l'attrezzatura. Insieme all'attrezzatura spesso venivano anche "i tecnici" proprietari della stessa: proprio durante il primo concerto litigai furiosamente col mixerista, un individuo che trasudava spocchia e antipatia da tutti i pori e che avrebbe voluto essere ovunque tranne che lì. Beh, da un certo punto di vista posso anche capirlo... Quel concerto per lui probabilmente rappresentava un qualcosa di disgustoso, quantomeno di imperfetto. Cercai per tutto il concerto di attaccare briga con lui, ma era solo odioso, non scemo! Si fossimo arrivati alle mani lui avrebbe avuto duecento punk scatenati contro. In genere io ero tranquillo, probabilmente quella volta ero un tantino sovraeccitato dalla situazione.

Dopo ore di un'attesa che a me sembrava sempre interminabile cominciavano ad arrivare le persone, tantissima gente, sicuramente troppa per un posto come il salone del centro d'incontro. Ogni volta era uno stupore perché in cuor nostro non immaginavamo che a Torino esistessero così tanti punk. Creste colorate, capelli sparati, catene, giubbotti di pelle nera, occhi bistrati, orecchini ovunque, spillette (pins) a migliaia, pantaloni leopardati, "A" cerchiate e, raramente, qualche svastica, i rari proprietari delle quali venivano prontamente cacciati fuori dal concerto. 
...e a proposito di svastiche, ecco di seguito un episodio, surreale?, accadutomi nel 1977, che mi è tornato alla mente solo ora.

Come dicevo nella prima parte del mio Quarantennale, nel 1977 frequentavo il F.U.O.R.I. e un bel giorno portai in sede del Partito Radicale (che forniva la sala per le riunioni e le attività del gruppo) il mio entusiasmo per il punk. Organizzai una festicciola alla buona: mi procurai un giradischi e un po' di bevande e salatini, portai la mia striminzita collezione di album e singoli punk, veci un bel manifestino che attaccai nelle varie sale della sede del PR e il seguente sabato sera molte delle persone che frequentavano il partito si presentarono alla festicciola e ballarono scatenatissimi, e gioiosamente, per tutta la sera. Io che quella sera mi ero acconciato per bene (senza alcuna ombra di svastica nel mio abbigliamento, ci tengo a precisare) mi improvvisai dj e, insomma, per farla breve ci divertimmo tutti moltissimo. Un paio di giorni dopo uno dei militanti sia del F.U.O.R.I che del PR mi fece trovare un enorme manifesto scritto a mano pieno di invettive nei miei confronti, ed evidentemente anche nei confronti di chi alla festicciola si era divertit*, e che terminava - lo ricorderò fino a che camperò - con la frase: "...vai a fare il punk in Corso Francia 19" [All'epoca in Corso Francia 19 c'era la sede dei fascisti dell' m.s.i.]
La cosa mi ferì profondamente. La persona che fece il manifesto, un ragazzo più grande di me, FC, dopo alcuni mesi organizzava feste "punk" e  "new wave" nelle discoteche cittadine, con ingresso a (profumato) pagamento. Preferisco non aggiungere altro, visto che è un episodio accaduto quarant'anni fa e non avrebbe senso da parte mia recriminare od offendere una persona che non ho mai più visto da allora e che nella e per la mia vita non ha significato nulla, tranne che un brutto ricordo che, per altro, da anni non affiorava più alla mia mente.



Siouxsie Sioux, la capa dei nazzzisti inglesi... :-)))


Dopo il primo concerto, cui parteciparono band di Torino e di fuori città, come i Raf Punk di Bologna (la mia punk-band italiana preferita di sempre [2]) e gli Indigesti, altra band che all'epoca amavo.
Ci si impegnava moltissimo, credevamo nell'autogestione senza compromessi della nostra musica - io personalmente ci crederei ancora, e se avessi un po' più di energia starei ancora a suonare non per soldi, ma per comunicare e anche divertire - e spendevamo moltissimo tempo per l'organizzazione delle nostre attività (concerti, cassette, lettere, fanzine ecc.).

Ma c'era una cosa che mi rodeva l'anima, a parte gli attacchi di panico [che mi sembrava mi facessero perdere cinque ani di vita ogni volta che arrivavano...] ed era il clima quasi stalinista che sentivo si stava instaurando sia all'interno del 5° Braccio sia in generale nella "scena" torinese, nella quale in quel momento il 5° Braccio aveva un peso importante.

La gioia, il divertimento erano visti come un qualcosa di obbrobrioso, borghese, da combattere, venivano negati o se vissuti, erano vissuti con senso di colpa; addirittura ridere era fuori luogo, se non per le battute di chi "contava" all'interno della scena. Per alcune persone, quelle appunto che contavano - e che, va detto, si facevano anche un bel culo per organizzare le cose - ogni comportamento non strettamente politico - come l'assumere droghe, bere alcool, ascoltare musica non-allineata o giocare a rincorrersi in piazza Statuto, era guardato con disprezzo. "In questo mondo di merda - sembrava dicessero - 
gioire, divertirsi è colpevole, è arrendersi al Sistema..."...






Gli slogan di cui erano infarciti i testi delle canzoni del 5° Braccio e di moltissime altre punk band cominciarono a starmi davvero stretti. Erano slogan, non vita, spesso non erano vissuti personalmente, non arrivavano dal cuore né al cuore, per me non avevano nulla di emotivamente significante. D'altronde io ero occupato a sopravvivere alla povertà, alla fame quasi letterale, al mio essere sessualmente non-allineato col machismo che imperava ai concerti e pressoché in tutte le situazioni, all'omofobia, al maschilismo. Dovevo sopravvivere ai miei attacchi di panico e alla mia mancanza d'amore. Cose che al punk anarchico italiano non interessavano minimamente.

Non ne potevo più del clima quasi disumano che si respirava nella band, non sopportavo più quella musica marziale e, alle mie orecchie, monocorde e davvero troppo, troppo piena di slogan "con la rima".
Gli ultimi due o tre concerti del 5° Braccio furono l'emblema del mio personale disagio e, credo, anche di quello di Tax il chitarrista. Poco prima della fine della band F., il bassista, fu estromesso (un po' si estromise da solo) e al suo posto entrò M., la compagna del cantante, che non sapeva suonare una singola nota di basso e, ovviamente, non poteva certo imparare tutto il repertorio in quattro e quattr'otto. Il risultato degli ultimi due o tre concerti, quelli con questa formazione anomala, furono un totale disastro, al limite della cacofonia.  
Sebbene io non mi sia mai considerato "un artista" [il termine mi ha, anzi, sempre fatto molto ridere] ci ho sempre tenuto, però, a suonare al meglio delle mie capacità e lo stesso speravo da chi suonava con me. Punk finché vuoi, ma con me bisogna suonare bene, cazzo.
Ovviamente non era assolutamente colpa di M., che anzi si era trovata un po' tra l'incudine e il martello, e si era anche impegnata molto; ma proprio non ci si può improvvisare musicisti/e in un mese, non si possono imparare dieci, dodici brani con uno strumento che non si è mai toccato prima in vita propria [se non si ha la rara "fortuna" di avere un poderoso talento musicale, magari nascosto]

Dopo il disastroso ultimo concerto genovese Tax ed io parlammo a lungo del nostro disagio all'interno della band. Lui e io andavamo d'accordo, ridevamo molto insieme, eravamo in sintonia e trascorrevamo moltissime serate insieme, scherzando, ma anche confidandoci le nostre cose più profonde (cosa impossibile da fare con gli/le altri/e componenti della band). Tax era un vero amico e io volevo davvero continuare a suonare con lui.
Non fu facile per me dire al cantante e alla bassista che il 5° Braccio  non esisteva più e che io e Tax ce ne andavamo per suonare altre cose, musicalmente più hardcore e possibilmente più personali e senza troppi slogan politici nei testi. Per me non fu facile perché io mi faccio sempre delle menate di sensi di colpa anche quando non ce n'è motivo, ma soprattutto perché sentirsi disprezzati non è mai bello. Mai.

una pagina della fanzine Disforia n. 1



Uno degli assiomi delle punk band italiane era che prima che band si è amici, e così i due amici del 5° Braccio sciolsero la band.
E cominciò un nuovo pezzo di storia, che racconterò nel prossimo capitolo [in cui parleò anche di Adrenalina, Declino, finalmente un amore (breve ma intenso), Negazione, nuove amicizie (e tradimenti) e una seria tragedia].

Prima di concludere, ecco qui sotto il cd del 5° Braccio, uscito quasi 25 anni dopo lo scioglimento della band. E' registrato con un mangiacassette, a parte i primi quattro brani - con ancora P. alla batteria - che furono registrati su quattro piste. Il resto sono prove in cantina e un paio di brani dal vivo. Come registrazioni sono una vera schifezza, comunque un pezzo di vita molto importante per me, nel bene e nel male. E forse non solo per me. [QUI, se proprio sei interessat*, una recensione al suddetto cd]



Orlando Furioso (2017)

[1] Noi eravamo in quattro, registrammo quattro brani su quattro piste in quattro ore. Se ci fossimo chiamati "4° Braccio" Stan Lee ci avrebbe potuto fare un fumetto di successo!

[2] Altro gruppo che adoravo erano i Wretched di Milano, puoi ascoltarli qui sotto:




Wretched, Spero venga la guerra (1982)
Spero venga la guerra
Con i suoi orrori e le sue stragi
Solo allora capirai che potevi far qualcosa