domenica 27 giugno 2021

Quarantennale del Punk (il mio) - pt. 1

the Bromley Contingent



Esattamente quarant'anni fa
la mia vita cambiò
improvvisamente
e completamente.

Quello che segue è il mio personale
"Quarantennale del Punk"
(prima parte)




Avevo 17 anni ancora da compiere e ascoltavo tantissima musica, come avevo sempre fatto dacché ne avevo memoria, sempre, tutto il giorno e tutti i giorni. I miei genitori vedevano il loro strano figlio sempre chiuso in camera, appiccicato al giradischi (mono) a rovinarsi le orecchie. Immagino si preoccupassero.
Avevo sempre per le mani tantissimi libri, ma proprio mai nessuno di essi riguardava i programmi scolastici, lo  studio ... Leggevo anche tante riviste, riviste musicali di ogni tipo che mi facevo prestare o che, quando potevo, comperavo, riviste italiane - Ciao 2001, Gong, Muzak, Popster e altre; e anche straniere: di queste ultime all'epoca guardavo praticamente solo le figure.

Avevo un piccolo giro di amici tutti estremamente interessati alla musica e disponendo di pochissimo denaro avevamo messo su un "giro di prestiti": uno comprava un disco (in vinile) o una musicassetta e questo passava di mano in mano, ascoltato sino alla inevitabile rovina dei solchi per poi ritornare - diciamo non proprio sempre... - al legittimo proprietario [1].
La stessa cosa succedeva per le riviste, che spesso tornavano al legittimo proprietario tagliuzzate e prive di alcuni articoli.
Ascoltavo l'hard rock, i Beatles, il Prog che emetteva i suoi ultimi rantoli, il cantautorato migliore, Frank Zappa, David Bowie, il folk-rock, il Glam e, in generale, tutto ciò che poteva ripararsi sotto l'ombrello del Rock...




E un bel giorno, cioè un giorno triste e scialbo come tutti gli altri, arrivò l'Agosto del 1977 e mi trovò, come al solito, profondamente triste, insoddisfatto e incline a una forte, molto forte malinconia.
Pare strano a dirlo a posteriori, ma ne ho un ricordo vividissimo: ero realmente in una posizione di  attesa e aspettavo un qualche tipo di scossone che, nella mia adolescente impazienza, stava tardando ad arrivare.
Non sapevo esattamente cosa stessi aspettando, ma comunque quando arrivò, arrivò tramite la cosa che per me è sempre stata più importante di tutte: la musica. (Anche se poi non solo di musica si trattava...)

La musica che ascoltavo fino a quel momento non mi bastava più, volevo qualcosa di più duro, rabbioso, veloce, caotico, aggressivo. Anche dentro di me c'era qualcosa di duro, rabbioso, veloce, caotico e aggressivo che voleva uscire fuori, ma non trovava la strada.
Quel giorno di Agosto del 1977 lessi un certo articolo su una non-proprio-eccelsa rivista musicale italiana chiamata Best.
L'articolo parlava di una band newyorchese: i RAMONES. A sentire il redattore facevano musica durissima, essenziale, che recuperava lo spirito selvaggio del Rock'n'Roll; venivano dal Queens e stavano facendo impazzire i frequentatori del CBGB di New York (locale che negli anni a seguire divenne una delle mete preferite dei miei ogni).

C'erano anche alcune fotografie a corredo dell'articolo: quattro giovinotti dall'aria dura in giubbotto di pelle (il famigerato "chiodo") e jeans strappati al ginocchio, scarpe da tennis e occhiali scuri, capelli lunghi e, dietro di loro, uno squallido muro di mattoni che mi immaginai appartenere ad un edificio dismesso della periferia della Grande Mela.

foto di Roberta Bayley



Non avevo mai visto nulla del genere! La fotografia mi fece venire la pelle d'oca, fece scattare un pericoloso campanello dentro di me, mi attrasse come poche altre immagini avevano fatto, la guardai e la riguardai per giorni interi.
Secondo l'articolo i Quattro erano "fratelli" e di cognome facevano tutti "Ramone", da cui il nome della band. Non era vero, non erano fratelli né si chiamavano Ramone, ma in quel periodo le notizie di questo tipo non erano facilmente verificabili e certamente non erano di prima mano!

A proposito di notizie "non proprio di prima mano": ricordo quando qualcuno scrisse che i Clash erano dei "picchiatori fascisti". Ora vien da ridere, ma allora si creò un vero "caso" e il sottoscritto scriveva a tutto e a tutti invitando a boicottarli, a non comprare i loro dischi...

La parolina magica dell'articolo in questione - oltre a Ramones - era "punk"... Su quella si focalizzò tutto il mio interesse e intuii immediatamente che quel "punk " sarebbe stata la mia prossima tappa ed era esattamente ciò che stavo aspettando. La sensazione fu davvero fortissima, la ricordo molto lucidamente.


CBGB - New York City


Certo, non era la prima volta che leggevo la parolina magica: oltra al fatto che ;"punk" è un termine inglese già in uso nel XV secolo - con svariati significati, da "legno marcio" a "puttana" a "figa" -, era anche stato già usato alcune volte da Manuel Insolera, un giornalista di Ciao2001, nelle recensioni di album che, peraltro, amavo molto. Come ad esempio il secondo dei Roxy Music, che veniva appunto definito un "gioiellino punk". [Anni dopo trovai il termine "punk" dozzine di volte, usato come sinonimo di "feccia", "delinquentello da strapazzo" proprio nei fumetti Marvel originali!]

Rilessi l'articolo sui Ramones almeno una dozzina di volte e più lo leggevo e più mi incantavo e più desideravo ardentemente ascoltare quella rivoluzione musicale, che - pensavo - avrebbe probabilmente soddisfatto la mia attesa.
Però nessuno dei negozi di dischi della mia città aveva la benché minima idea né dei Ramones né di questo "punk". Dovetti aspettare alcuni mesi - pochi - prima di portare a casa, letteralmente tremante, il secondo meraviglioso album dei Ramones: Leave Home [Comprai prima il loro secondo album e successivamente il primo: essi arrivarono in Italia con quest'ordine.]
Pochi accordi, canzoni brevissime a quella che allora mi sembrò una velocità pazzesca! Ballavo impazzito per la mia stanza senza sapere ancora cosa fosse il "pogo" quasi slogandomi le braccia con chitarre, bassi e batterie invisibili.

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La mia scoperta del punk era meravigliosa e triste allo stesso tempo; triste perché per quanto casinaro il punk, qualsiasi tipo di punk, ha sempre avuto in sé una gran malinconia (quando non era totalmente depressivo) e triste; perché ero comunque triste io, e perché questa mia passione così totalizzante e pervasiva per il "fenomeno musicale del secolo" non era condivisa con/da nessuno che conoscessi. Ma era anche meravigliosa perché c'era in atto una specie di rivoluzione e io in qualche modo la stavo vivendo.

Nelle riviste musicali il punk divenne sempre più presente. Ricordo ad esempio un'articolo apparso su Ciao2001 all'inizio del '77 intitolato "Ti dò un punk in un occhio!" con in apertura una bella foto di Roger Daltrey con capelli sparati, spilla da balia nel naso e nell'orecchio, occhi pesantemente bistrati e una maglietta dei Sex Pistols [Roger Daltrey, cantante dei mitici Who, accolse con un certo entusiasmo il punk].





Il punk cominciava a fare audience: era sporco, scandaloso, disgustoso abbastanza da attirare l'attenzione dei mass media. Si cominciarono a vedere i primi, divertentissimi servizi al telegiornale italiano: la nuova moda  inglese, quella dei punk, che si vomitano in testa (ma quanto dovevano mangiare o bere per avere sempre abbondante vomito a disposizione?), indossano divise "naziste" e picchiano tutti!

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Mio padre, come tutti i padri, guardava i telegiornali, e cominciò a manifestare una qualche preoccupazione quando vide il suo già strano figlio uscire di casa conciato in modo decisamente strano: stivaletti in pelle nera con tacco alto otto centimetri, jeans strappati al ginocchio e sul sedere, t-shirts bianca strappata con scritta PUNK! a pennarellone rosso, giubbotto nero di cotone spesso, strappato in più punti e con cerniere cucite alla buona, spille da balia infilate ovunque, scritte a pennarello bianco, una scarpina di mio nipote penzolante da una catenella cucita ad una manica, catena comprata dal ferramenta e avvolta in vita, collare per cani al collo (rosso, il collare), faccia mezza pittata di bianco, occhi bistrati con matita nera, capelli [un tempo li avevo!] sparati per aria, spilla da balia infilata nel lobo dell'orecchio al posto dell'orecchino e altra spilla da balia appoggiata sulla guancia, entrambe unite da catenella.

Non so dove e come trovassi il coraggio di uscire di casa agghindato in quel modo. Non che ora me ne vergogni, ma è che, specialmente in una città come la mia, era abbastanza pericoloso.
Oltre agli insulti che mi beccavo spesso dal prossimo, c'erano le frequenti perquisizioni (spesso con annessi insulti) delle forze dell'ordine. Una volta un poliziotto mi fece molto male strappandomi la catenella cui era fissata la spilla da balia che avevo infilata nel lobo... Se il mio lobo sinistro è ancora sano e intero, ciò è dovuto a un puro colpo di fortuna...
Ero un adolescente e, come spesso accade agli adolescenti, odiavo me stesso e il mondo. Ecco dove lo trovavo il coraggio.

 


Una sera del 1977 "Odeon - Tutto quanto fa spettacolo", una popolare trasmissione televisiva in onda sulla rete pubblica, mise in onda un servizio sul punk. Milioni di telespettatori, io e mio padre compresi, guardammo il servizio a bocca aperta (le nostre bocche si spalancarono per differenti motivi, naturalmente) e da quel momento ovunque si parlò di punk, dalle radio alle tv, dai giornali quotidiani alle riviste, musicali e soprattutto non-musicali.
Generalmente si scrivevano e si dicevano una marea di cazzate, adattando e inventando alla meno peggio cose trovate su giornali scandalistici inglesi, con fotografie - la maggior parte delle quali false e via che il servizio fotografico era pronto - le più shoccanti possibile.

Anche a seguito del servizio sulla televisione di stato, in alcuni negozi di dischi della mia città fecero capolino i primi album punk. Damned, il primo album dei Ramones, Clash, Ultravox, Stranglers ecc. Li compravo tutti.
Quello però cui sono più affezionato, acquistato nell'ottobre o novembre del 1977 in un negozio di dischi vicino alla stazione centrale, e unico delle centinaia di vinili che ancora possiedo (nonostante non abbia più un giradischi) è questo:
Per comprarmi i dischi facevo qualche lavoretto, vendevo i miei fumetti [eh sì...], fabbricavo braccialetti di perline (ero davvero bravo e ne vendetti moltissimi; praticamente mi mantenni anche il vizio del tabagismo per tutte le scuole superiori con questi braccialetti) e così mi compravo quanti più album potessi. Aiutavo anche una mia amica a fabbricare gioielli "fricchettoni", vendevo vecchi album che non mi piacevano più. Mi arrangiavo, insomma.

Nel frattempo continuavo a non studiare, a marinare da scuola e a leggere libri di filosofie orientali, e a ricevere gli insulti e il disprezzo della maggioranza della popolazione, ex-amici compresi. Inoltre ai più pareva non fosse possibile che uno fosse punk e anche di sinistra, no: tutti i punk sono nazi, anche quelli che evidentemente non lo sono.

Le riviste musicali comunque cavalcarono l'onda e pubblicarono quanti più articoli e recensioni "punk" potessero, indirizzi di riviste straniere compresi.
Io scrivevo a tutti con la macchina per scrivere regalatami da mio padre: da "Sniffin Glue" (UK) a "Punk!" (USA), da "New Crimes"(UK) a "Wicked" (USA) ad altre di cui non ricordo il nome.
Non sapevo l'inglese (non che adesso...): mi mettevo lì col vocabolario e scrivevo probabilmente una marea di cose illeggibili da qualsiasi inglese/americano avesse avuto la sfortuna di leggere queste mie letterine.

Sniffin Glue n. 10 (UK, 1977)


Solo Mark Perry di Sniffin' Glue mi rispose. Una risposta scritta a mano, in slang e con una grafia incomprensibile. Chissà che cosa mi avrà scritto...
Intanto la mia conoscenza empirica del punk aumentava di giorno in giorno e le mie lettere, sempre firmate, affollavano le rubriche della posta delle riviste musicali.
Anche i dischi della mia collezione aumentavano e nuove bands sembravano spuntare come muffe: Sex Pistols e Ramones ovviamente; e poi Penetration, Generation X (un bluff...), Vibrators, i meravigliosi Eaters, X-Ray Spex, Eddie And The Hot Rods (che in realtà col punk vero e proprio c'entravano poco) e molti altri.

Verso la fine del 1978 mio padre mi regalò una chitarra elettrica. Una Cimar imitazione Gibson, nera e bellissima, scintillante, stupenda. Ancor oggi mi chiedo il perché mio padre fece quel gesto. ["Perché ti voleva bene" mi sta dicendo mio marito... Ma la risposta non credo sia così semplice] Se aveste conosciuto mio padre, anche voi capireste il mio dubbio. Mio padre - per cause di forza maggiore - era la persona più parsimoniosa della Terra e non era proprio da lui spendere denaro per cose che non rientrassero nella categoria "beni di primissima necessità". Inoltre per tutta la mia adolescenza non mi dimostrò né grande interesse né grande affetto [recuperò però, e molto, negli ultimi anni della sua vita, dimostrando finalmente che uomo dolce fosse]. Anche il suo regalarmi la chitarra fu rude: ero seduto nell'orribile poltrona arancione a leggere, in camera mia, e lui entrò e mi bofonchiò "Alzati che andiamo a comprarti una chitarra". Proprio non seppi cosa rispondere. Un'ora dopo sedevo di nuovo sull'orrida poltrona arancione stringendo al petto la mia bellissima chitarra nuova, pagata da papà. Centoquarantamila lire.


The Adverts (1977)


Con una certa fatica riuscii a "convertire", a suon di ascolti forzati e minacce, due miei amici e compagni di classe alla causa del punk e formai, virtualmente, la mia prima punk band. La chitarra elettrica ce l'avevamo già: mancavano solo una batteria, un basso, un microfono, gli amplificatori e un posto per suonare. Io mi esercitai giorno e notte con la chitarra, D. percuoteva con dei ferri da calza qualsiasi superficie disponibile, A. suonava il basso col pensiero.
Passò qualche mese e un giorno di maggio del 1979 andammo alla festa di una compagna di classe ricca, con villa e tavernetta e nella tavernetta... una batteria e degli amplificatori!

Io "ho la musica nel sangue" e una delle mie caratteristiche è la dimestichezza con qualsiasi tipo di strumento musicale: datemi uno xilofono afghano e io dopo un'oretta sarò lì a suonarlo, così, a orecchio. E' questo, il mio unico, minuscolo talento. Come dimostra questa documentazione fotografica:


strimpellatore since 196... ehm... eccetera


Il fratello ricco della compagna di classe ricca mi impartì i primi rudimenti della batteria (grancassa: piede destro, hi hat: piede sinistro, rullante: mano sinistra, tutto il resto - rullate comprese: mano destra e sinistra) e dopo pochi minuti tenevo già perfettamente il tempo dei dischi che venivano diffusi dagli amplificatori.
"Oh, ma tu sai già suonare la batteria! E' tanto che suoni? Bello quel passaggio, insegnamelo." ... e invece era la prima volta in vita mia che toccavo una batteria, e oltretutto da poco meno di un'ora.
A. rimase senza parole, ma la band virtuale venne prontamente rivoluzionata: io avrei suonato la batteria, D. la chitarra (la mia) e  A. continuerà ancora per un po' col suo basso invisibile.

Nel Novembre del 1979 lavorai in un negozio di giocattoli; facevo i pacchi, stavo alla cassa, scaricavo il materiale in magazzino ecc. Lavorai tutti i giorni, sabato e domenica compresi. A scuola non mi videro più fino al gennaio dell'anno successivo. Alla fine del mese ebbi i soldi per comprare la più orrenda, economica batteria sul mercato: grancassa e pedale, hi hat, rullante, due tom, piatto e asta. Il tutto di qualità men che pessima. Ma io ero quasi felice e in quel periodo non accadeva spesso.
Anche D. e A. lavorarono per procurarsi gli strumenti e gli amplificatori e la mamma di D. disse che per sapere suo figlio in giro, tanto valeva che ci lasciasse la cantina per suonare.


una parte delle SPILLETTES: D. e il sottoscritto (molto fine!)


Trasportammo gli strumenti in cantina e cominciammo a suonare come dei forsennati, tutti i giorni. A. era completamente negato per il basso e ci fu bisogno di tutta la mia pazienza per insegnargli i pezzi; D. invece se la cavava molto bene con la chitarra mentre io con la batteria diventai una specie di fenomeno locale da mostrare agli amici. Anche perché cantavo. Sono il batterista-cantante della band.
Gli altri due erano stonati e non avrebbero comunque saputo cantare suonando. Io ci riuscivo e anche piuttosto bene. [La modestia quando serve. Non so fare un cazzo nella vita: abbiate pazienza e lasciatemi beare almeno per il mio orecchio musicale.]

Componemmo i primi pezzi e imparammo le prime cover. "Virus", "48 Seconds", "Duck Blues", "Icon", "Vacci Piano" ecc. (pezzi nostri) e poi Pretty Vacant e Anarchy in the UK dei Sex Pistols , alcuni brani dei Ramones, Clash City Rockers dei Clash (diventati nel frattempo "ex picchiatori fascisti"...),  Helter Skelter dei Beatles, Jumpin' Jack Flash degli Stones, una versione selvaggia di Tintarella di Luna di Mina, Mirage di Soiuxsie and the Banshees e altre cose.

Il nome della band - l'ho scritto nella foto lì sopra, era Spillettes (pronuncia:  spillèz).
Provavamo sempre (e studiavamo mai, va da sé, ed era pure l'anno della maturità) e dopo un po' D. e io diventammo bravi e finalmente facemmo il primo concerto. Davvero difficile per me descrivere ciò che provai quel giorno. Fortissime le emozioni, non ricordo il giorno preciso in cui il concerto si svolse (era comunque fine dicembre 1979). Ma ricordo ancora la scaletta dei brani che suonammo.
Suonammo bene e cantai bene, e nonostante non esistesse ancora una "scena punk" ottenemmo un gran successo: tutt* erano in piedi a saltellare e applaudire e a gridare bis! bis! alla fine del nostro gig...
Per me fu incredibile! Ora ci sentivamo - quasi - una vera band.



l'unica foto esistente del primo gig delle SPILLETTES...


Poco prima del mio primo concerto avevo finalmente trovato degli amici, dei veri amici, con cui condividere questa passione. Ci vorrebbero cento post solo per raccontare il felice incontro tra me e Luca S. (anni dopo direttore di Metal Hammer, Andrea S. (futuro bassista dei Braindamage, con numerosi album all'attivo, ma prima di ciò bassista delle Spillettes al posto del defezionario A.), Paola, Gianni, Nella, Flora e gli altri... Tutti loro vennero al mio primo concerto e ci riempirono di complimenti e la gioia (e il terrore) erano indicibili.

eccoli gli amici di allora... (io al centro con la cravatta)



Facemmo altri concerti, alcuni buoni altri meno, sempre senza mai prendere una lira (suonare per soldi non era un'opzione contemplata), ma anzi sgobbando come schiavi per caricare-scaricare, montare, collegare, riparare ecc.; ma li rifarei tutti, uno per uno.
Esistono dei nastri che documentano uno di questi concerti, ma purtroppo sono saldamente in mano ad una persona che non ha mai voluto farmeli avere.  L'unica "documentazione" di questo periodo, purtroppo, si riduce a delle scalcagnatissime audiocassette registrate in presa diretta (diciamo così...) che anno dopo anno si deteriorano diventando sempre più inascoltabili, e questo mi spiace tantissimo... e qui - per ora - mi fermo.

Orlando Furioso (2017) 

P. e il sottoscritto, 1979


Nota:
[1] I formati in cui era possibile ascoltare musica in quegli anni erano, oltre alla diffusione radiofonica, 45 giri e album a 33 giri in vinile; musicassette e cassette Stereo8 (queste, scommetto, non le hai mai neanche sentite nominare)