domenica 27 giugno 2021

Quarantennale del Punk - pt. 2

logo dei Circle Jerks disegnato da Shawn Kerri


Ovvero:

il 1977 è passato,
siamo negli
Anni Ottanta;

la vita continua
(più o meno)
e il
Punk è sempre
il centro
della mia vita
(uno dei)
(e gli attacchi
di panico)








Mi rendo ben conto che a voi che leggete non interessano - giustamente - certi particolari, ma sono invece importanti per coloro che, interessati in prima persona, si trovassero per caso a leggere questi miei scritti.
Nello scritto precedente eravamo rimasti ai concerti delle Spillettes, la mia prima punk-band [non la mia prima "band" in assoluto, ma di questo ne parlerò magari un'altra volta] ma l'età comincia pian piano a far sbiadire i ricordi e trovando oggi questa foto ho avuto un vero colpo, visto che nel mio scritto precedente manca un pezzo, di cui mi scuso fin d'ora con Luca Signorelli [anche se non credo che capiterà mai su queste pagine]. Infatti tra i bassisti che si sono alternati nella breve vita delle Spillettes, A. e Andrea Signorelli - di cui parlerò approfonditamente più sotto - c'è stato proprio Luca Signorelli, che vedete qui sopra al basso, in quella che è l'unica foto esistente del primo concerto in assoluto delle Spillettes.


...in effetti è L'UNICA immagine di quel concerto...


Riprendo con la mia storia da dove l'avevo interrotta nel precedente capitolo.
...Nel frattempo mi ero diplomato. Non è importante il mio diploma, ma il fatto che proprio quell'anno, l'anno del diploma, del debutto dal vivo delle Spillettes, del mio prepararmi ad andare a vivere da solo, cominciarono i miei attacchi di panico. Insieme al Punk furono proprio loro a cambiarmi definitivamente la vita e a farmi intraprendere una strada che, forse, senza la loro sgraditissima compagnia mi avrebbe condotto altrove.

Gli attacchi di panico modificarono radicalmente tutta quanta la mia esistenza, dagli atti concreti e banali della vita quotidiana [prendere il tram per andare a scuola o a provare con le Spillettes, poteva diventare un'impresa davvero, davvero ardua... che comunque affrontavo, volente o nolente ogni maledetto giorno...] alle profonde e continue riflessioni cui una mente inquieta, pessimista, e ora anche impanicata, com'era la mia si dedicava continuamente. Cambiarono realmente tutto.




Non starò a sciorinare infiniti paragrafi sui miei attacchi di panico: dico solo che qualsiasi cosa racconterò da qui in poi, anche se gli attacchi non saranno nominati esplicitamente, bisogna immaginarla permeata, aggredita, fiaccata, condizionata dagli attacchi, che mi colpivano con una frequenza e un'intensità che nessuno mi avrebbe invidiato.
Poteva prendermi un attacco durante l'esecuzione di un brano dal vivo con le Spillettes (e capitò eccome) e non avevo scelta se non continuare a cantare e a suonare, però come se lo stessi facendo direttamente dall'inferno e con un dolore psichico enorme, oltre alla convinzione che avrei presto fatto un'atroce fine a causa della "mancanza d'aria".

Altra cosa che non ci sarebbe bisogno di sottolineare, ma data l'epoca il bisogno c'è eccome, è il fatto che ero gay (allora non si usava ancora questo termine, si preferiva il grecismo "omosessuale", termine che pareva contenere in sé una specie di "malattia"...) e sebbene frequentassi alcuni gruppi di gay e lesbiche politicizzati - il  FUORI e il COSR, collettivi omosessuali della sinistra rivoluzionaria - parlare della propria omosessualità al di fuori delle situazioni politiche/politicizzate era tutt'altro che facile.

il sottoscritto poco prima dell'avvento del Punk...



Quindi punk, gay, con attacchi di panico. Posso garantire che la mia vita non era per nulla semplice, per dirla con un eufemismo.
La vita delle Spillettes continuava regolarmente tra prove (tante) e concerti (pochi), ma con una caratteristica importante, negativa, che determinò la prematura e non troppo rimpianta fine della band: l'isolamento. Passavamo i pomeriggi a provare e riprovare, io e D., il chitarrista, miglioravamo tecnicamente, ma non eravamo parte di nulla, non avevamo alcun contatto con altre band, non c'era crescita e soprattutto non avevamo un progetto. Non c'erano posti in cui suonare e i concerti ce li dovevamo procurare con enorme fatica: abbiamo suonato in posti orribili, con impianti orribili, acustiche orribili, talvolta con cinque persone come pubblico...

Non c'era, tra noi, scambio proficuo di idee: cosa volevamo fare? Cosa raggiungere? Perché?
E ancora: i nostri gusti musicali differivano non poco e il suonare cominciava a diventare un'attività frutto di troppi compromessi. Io continuavo a interessarmi ai gruppi punk e alla loro evoluzione (o involuzione, in taluni casi), ascoltavo musica, non solo punk ovviamente, cercavo - senza sforzarmi, mi veniva naturale - di spaziare, allargare la mente, acquisire sempre più conoscenza, sia del punk che della musica in generale.


il sottoscritto nel 1978




Ma come dicevo nella prima parte erano stati da me "convertiti a forza" al punk rock e si sa che le conversioni forzate prima o poi cessano di funzionare. Io, poi, avevo sempre meno voglia di alternare brani punk, generalmente composti da me, a cover dei più svariati gruppi rock fatte per "accontentare" un po' tutti...

Nel 1980 ci fu un grosso cambiamento che iniettò nuova linfa alle Spillettes: entrò Luca Signorelli al basso e sebbene tecnicamente non fosse granché, era però molto, molto addentro alla musica, aveva una cultura musicale praticamente infinita ed era pieno di entusiasmo e di idee. Fu proprio con Luca al basso che facemmo il nostro primo, entusiasmante concerto, già riassunto nel precedente capitolo.
Però tecnicamente Luca al basso era limitato e una bella chiacchierata fatta tra noi chiarì le cose dal punto di vista diciamo così strettamente tecnico per le Spillettes: Luca, con un'onestà e una serenità rara  [d'altronde era una persona speciale e stupenda!] ammise che non era tecnicamente all'altezza di suonare il basso con noi e lui stesso propose come bassista della band suo fratello Andrea Signorelli, un metallaro un po' più giovane di noi (se non sbaglio era ancora minorenne) grande fan dei Ramones. E la resa della band, sia nelle prove che live migliorò notevolmente.

Andrea era - e sono certo sia ancora, così come suo fratello - una persona fantastica, piena di curiosità, avidissimo lettore, fine ascoltatore e conoscitore di tonnellate di musica, una mente aperta, priva di retorica, una persona molto generosa. Non aveva mai suonato il basso prima, ma si impegnò tantissimo e diventò bravo, imparò i brani in tempi record. Oltretutto parlare con lui era un piacere, oltre che un arricchimento per chiunque lo ascoltasse.


il sottoscritto (sdraiato) e Andrea Signorelli (quello bello)


Non è bello da dire nei confronti di D., il chitarrista, ma ora nelle Spillettes eravamo "due contro uno" e questo mi diede nuovi stimoli: fu con l'ingresso di Andrea nella band che cominciammo a comporre brani migliori e decisamente più in linea coi miei gusti musicali, pezzi brevi, tiratissimi, urlati, feroci, punk.

Frequentare casa di Andrea, e di suo fratello Luca, oltre ad avere un effetto positivo rispetto ai miei attacchi di panico (Andrea e Luca furono le prime persone con cui parlai di questo mio enorme problema e quand'ero in loro compagnia la mia ansia si placava un pochino), era bello frequentarli anche per le lunghe, accanite discussioni sulla musica e su mille altri argomenti; casa loro era letteralmente cosparsa di dischi e di libri, mi prestavano volentieri ciò che chiedevo.

A casa di Andrea armato di pennarelli e fogli di recupero cominciai anche a produrre i miei "fumetti" [sì, li conservo ancora tutti; no, non li vedrete mai] passione che mi portai dietro fino a pochissimi anni fa.  Ricordo i lunghi pomeriggi e le serate passate con Andrea, Luca e i pochi altri amici e amiche - primi/e fan delle Spillettes - come delle benefiche pause tra un terrore e l'altro, tra una disperazione e l'altra: era come se mi aiutassero a respirare in mezzo a quell'orribile soffocamento che provavo ogni singolo secondo della mia vita di allora.
Non so se Andrea e Luca abbiano mai avuto la consapevolezza del bene che mi hanno fatto, dell'affetto premuroso e della stima di cui mi hanno circondato in quel periodo... Temo di non averglielo mai detto chiaramente, mi piacerebbe avere l'occasione di farlo, ma probabilmente farei la figura del vecchio patetico nostalgico.



                       Joy Division: era il nostro gruppo preferito in quel periodo...


Grazie a un noto personaggio torinese (quello che non mi vuol dare i nastri dei concerti delle Spillettes...) ci furono organizzati un paio di concerti in una discoteca di Torino - una discoteca che nei week-end diventava un locale per gay e lesbiche. La stessa discoteca un paio d'anni dopo diventò per un po' di tempo uno dei posti di ritrovo dei punk torinesi, grazie ai concerti che venivano lì organizzati.

I concerti tecnicamente andarono benissimo, suonammo molto bene, anche se di fronte a un pubblico davvero striminzito. Quello che mancava era la convinzione, la comunicazione con chi ascoltava il concerto. Già il fatto che io suonassi la batteria e cantassi privava la band di quel minimo approccio fisico che il genere richiedeva; inoltre diciamolo pure, non è che fossimo esattamente delle (punk)rock-stars, ci vergognavamo anzi abbastanza, mentre suonavamo non riuscivamo a guardare in faccia nessuno dei presenti, sembravamo un po' tre ragazzi che stavano... lavorando. Tutto ciò ovviamente non suscitava grandi entusiasmi da parte di chi ci veniva ad ascoltare e se non ci fossero stati i pochissimi amici e amiche che venivano a vederci il clima sarebbe stato ancora più gelido.
Proprio il contrario di ciò che il punk intendeva esprimere.

Questo mi fece capire che volevo un cantante, una band in cui io potessi solo concentrarmi a suonare la batteria; ma soprattutto volevo suonare in una band che avesse cose da dire, che comunicasse feeling, sentimenti, una band politica, nel senso più globale del termine.
Ma i tempi non erano ancora maturi.
Oltre alla mia insoddisfazione, l'altro problema fu che D., il chitarrista, non si integrò per nulla col nuovo gruppo di amici e forse pativa anche "l'eccessiva" vicinanza tra me e il bassista Andrea; o forse semplicemente non gli piacevano quelle persone.
Casa di P., già ritrovo del gruppetto di amici, divenne - insieme a casa dei fratelli Signorelli - il mio nuovo punto di riferimento. Praticamente campeggiavo a casa sua, e sua madre, che pensava che io fossi il fidanzato di P., mi accolse sempre come farebbe una brava suocera col promesso sposo della figlia. Pranzavo e cenavo da loro e nel frattempo frequentavo la scuola per educatori specializzati, facevo tirocinio nelle comunità alloggio e negli asili nido e lavoricchiavo guadagnando quel tanto per pagare l'affitto nel miserrimo buco in cui abitavo, una monocamera di circa 20 metri quadrati, umida più di una cantina, senza riscaldamento (almeno aveva la doccia).

Praticamente però vivevo a casa di P., eravamo inseparabili e in casa sua, grazie all'estrema pazienza e tolleranza dei suoi genitori, ascoltavamo tantissima musica, disegnavamo i loghi della nostra futura etichetta discografica indipendente, e quando i genitori di P. non c'erano, cosa che accadeva spessissimo, passavamo notti intere a parlare.
Molto tempo era poi dedicato a disegnare le copertine delle musicassette su cui registravamo gli album e i singoli che ognun* di noi comprava. Era bello, ci volevamo tutt* molto bene. Ciò non fece diminuire i miei attacchi di panico né mi fece trovare l'amore, ma attenuò molto la mia disperazione. E, forse, contribuì a migliorare i rapporti coi miei genitori, soprattutto con mio padre.



Wire: altra band che adoravamo!


In tutto ciò non c'era più spazio per le Spillettes e inoltre il chitarrista, partì militare. Mentendo spudoratamente gli promisi che non avrei suonato con altri fino a che lui non fosse tornato. Promessa che sapevo perfettamente non avrei mantenuto, anzi la sua partenza mi sollevò e mi fece sentire libero di ricominciare a pensare a una band con presupposti diversi e in cui io non dovessi cantare.

Continuò la forte amicizia con Andrea, oramai ex-bassista delle Spillettes.
Nel frattempo A., un mio vecchio amico d'infanzia che avevo conosciuto quando io avevo 11 anni e lui 8, aveva formato un gruppo punk dall' "originalissimo" monicker Fiori del Male [probabilmente all'epoca i tre quarti dei gruppi punk italiani si chiamavano Fiori del Male...] e mi chiese se mi andava di suonare con loro. Accettai immediatamente e cominciammo a provare. Finalmente potevo dedicarmi al suonare la batteria senza dover anche cantare!

Facemmo un paio di concerti, ma la mia iniziale soddisfazione durò pochissimo: l'attitudine, o meglio  l'intenzione, era diversissima tra noi e anzi c'era vera e propria incompatibilità. A., il chitarrista, era interessato a fare musica dura, ma non troppo, e amava molto il look Punk 77 (pelle nera, bandiera inglese ecc.) ed era scevro da qualsiasi motivazione diciamo così politica; P. il secondo chitarrista era un ragazzo timido ed educato, ai miei occhi completamente estraneo a una qualsivoglia attitudine punk; F. il bassista/cantante [lo ritroveremo presto] era un ragazzo carico di una rabbia distruttiva e anche - così mi sembrava - auto-distruttiva; uno che durante il concerto prendeva quelle pillolone rosse che servono a simulare la fuoriuscita del sangue dalla bocca (le stesse che usava Gene Simmons dei Kiss ) che poi sputava all'atterrito pubblico delle prime file.


concerto dei Fiori del Male (1981?)


Nel frattempo io mi interessavo sempre di più alle istanze politiche del punk, come l'autogestione, l'autoproduzione, l'assenza di qualsiasi compromesso col sistema industriale-musicale, l'abolizione della distinzione tra "artisti" e "pubblico" e contemporaneamente cominciavo a prendere sempre più le distanze dal "Punk 77", cioè da quell'attitudine di pura rabbia e ribellione qualunquista "contro tutto" fatta anche di autolesionismo, alcool, droghe, violenza e ideologie di destra.  [D'altronde il qualunquismo è sempre di destra.] Così un bel giorno comunicai ai Fiori del Male che ero fuori dalla band. Continuai però a frequentare amichevolmente A. e F. ancora per molti anni, sebbene non in modo regolare.

Un bel giorno del 1981 P. ed io decidemmo di andare ad abitare insieme. D'altronde, eravamo inseparabili, quindi cosa avrebbe mai potuto andare storto? ...già, cosa avrebbe mai potuto andare storto abitando in due in 15 metri quadri, in mezzo all'umidità, senza riscaldamento e con un bagno minuscolo?... Buona parte di quella coabitazione fu condizionata dal mio egoismo, dettato anche da esigenze di pura sopravvivenza: io frequentavo la scuola per educatori specializzati e lavoricchiavo, mentre P. aveva un lavoro full-time e guadagnava uno stipendio vero e si sarebbe accollata le spese maggiori; inoltre lei poteva contare sull'appoggio dei genitori [i quali non presero per niente bene la nostra coabitazione] che la rifornivano di cibo ed eventuale aiuto economico. Del quale beneficiavo anch'io. L'idillio durò in effetti pochissimo. Ma prima della rottura successero cose davvero importanti.
Un collega di lavoro di P. conosceva uno che aveva una punk band e cercava un batterista. P. ed io frequentavamo le lezioni di batteria di Fiorenzo Sordini, un bravissimo batterista jazz torinese. Io ero bravo, P. teneva - bene - il tempo, però non aveva molta fantasia. Comunque  P. si propose come batterista per la punk band di cui sopra.



Poco tempo dopo il bassista della band in questione si tirò fuori dal gruppo e io colsi l'occasione per propormi come sostituto. Dato che imparai in pochissimo tempo i giri di basso dei brani, anzi a dire la verità li migliorai e li arricchii, venni subito preso.
Quel succitato "talento" personale di cui ho già parlato, che mi permette di possedere quasi subito uno strumento musicale, fece la sua bella impressione. Infatti fino a quel giorno non avevo praticamente mai preso un basso in mano. Certo, per me si trattava di una soluzione un po' di ripiego in quanto mi consideravo un batterista, ma in realtà non mi pareva vero di poter finalmente militare in una punk band consapevole. La band decise di chiamarsi Quinto Braccio, come il braccio dei detenuti politici di un famoso carcere speciale italiano. Già dal nome si capisce che la connotazione intendeva essere strettamente politica. La band era formata da S. alla voce, Tax alla chitarra, P. alla batteria e il sottoscritto al basso. Provavamo in un garage di proprietà di uno dei primi skinhead torinesi, facente parte dei Rough, mitica oi!/skin band.

Il gruppo era guidato, direi più propriamente comandato, da S. il cantante e autore della maggior parte dei testi, che erano cantati rigorosamente in italiano. Professava idee anarchiche e la band si trovò, volente o nolente, a essere classificata come "anarcho-punk", mentre in realtà - nonostante tutti fregiassimo i nostri giubbotti di pelle con le "A" cerchiate simbolo dell'anarchia, io ero comunista mentre T. e P. all'epoca non erano particolarmente interessati a essere classificati in ideologie politiche definite.


il sottoscritto al primo vero gig del 5° Braccio (1982)


Musicalmente e come attitudine eravamo oramai abbastanza lontani dal Punk del 1977: cominciavano infatti ad arrivare anche in Italia i primi sentori dell' hardcore punk, corrente musicale e - in parte - politica originatasi negli Stati Uniti alla fine degli Anni 70/inizio degli Anni 80, contraddistinta da un vertiginoso aumento della velocità di esecuzione, soprattutto a carico della batteria, voce urlata e sgraziata ma sempre "a tempo" con la progressione dei riff, accordi in progressione velocissima, potenza e volumi portati all'eccesso, testi al 99% di argomento "sociale/politico" o introspettivo/personale.

Come ho scritto poco fa l'hardcore fu un fenomeno non solo musicale, ma anche in parte politico; nacque negli Stati Uniti da ragazzi della piccola-media borghesia bianca, ma ogni scena locale, in quasi ogni parte del mondo, lo plasmò e lo trasformò a seconda delle esigenze, caratteristiche e sensibilità del luogo, quindi la sua politicità variò da situazione a situazione.
In Italia l'hardcore divenne subito, indubbiamente, un fenomeno anche politico, oltre che musicale e così come negli USA, anche qui le persone furono più o meno sincere, più o meno convinte degli slogan politici che permeavano le canzoni, i volantini, i concerti, i muri. L'hardcore italiano diede anche vita a una serie di occupazioni/autogestioni di spazi (alcuni dei quali ancora esistenti) in cui suonare e fare altre attività senza compromissioni con il sistema commerciale della musica.
Come meglio far capire cosa fosse l'hardcore se non facendovi ascoltare la migliore hardcore band di tutti i tempi? Eccoli qui sotto. Alzate il volume.


la miglior hardcore punk band di sempre


                    Bad Brains, Big Takeover (live, 1982) sì, sono neri!

Come Quinto Braccio (scritto anche 5° Braccio con caratteri e simboli particolari, come potrete vedere più avanti) avevamo alcuni pezzi nostri e in più facevamo diverse cover di bands come Black Flag, Flux of Pink Indians, Crass, Blitz e altre che ora non ricordo.
La presenza di una donna - P. - alla batteria ci rendeva una band particolare, dato che in Italia erano ancora pochissime le punk band femminili o con componenti donne. Noi però all'epoca non ci rendevamo conto di ciò e questa è una considerazione fatta a posteriori. Anzi quando mandammo via P. dalla band ricevemmo alcune critiche, probabilmente giustificate, da alcuni membri dei Raf Punk [la punk band italiana che io ho amato di più] che ci dissero che era importantissimo non rendere il punk un'altro "genere" esclusivamente maschile e, conseguentemente, maschilista.

Nel frattempo facevamo concerti e, senza averne la minima coscienza, stavamo diventando uno dei "miti" dell'hardcore punk nazionale.


 gig del 5° Braccio a Feltre (BL), 1982 - il sottoscritto col mohicano floscio...



Prima di cambiare la formazione del Quinto Braccio, rendendola totalmente maschile, registrammo 4 brani su 4 piste in uno studio economico della città. Per tutt* noi era la prima volta in un vero studio di registrazione e l'esperienza, per me, fu tutt'altro che esaltante.
Al di là dell'ego "ferito", visto che in quelle registrazioni il mio basso non si sente quasi per niente, fu proprio il contatto con una struttura in cui la musica è intesa, ovviamente, come fonte di guadagno a disgustarmi, letteralmente. Oltretutto i gestori dello studio di registrazione ci guardavano come fossimo fenomeni da baraccone, ridacchiando alle nostre spalle per i motivi più futili ("ma guarda che cazzo di capelli!" a "minchia, ma quante cazzo di spillette hanno?". Gente simpaticissima. Proprio).
Uno dei brani registrati lo potete sentire, a vostro rischio, qui sotto:




Le dinamiche interne alla band erano piene di tensioni, la maggior parte delle quali non furono mai espresse in modo chiaro, se non quando dicemmo a P. che era fuori dal gruppo e quando ci sciogliemmo, un paio d'anni dopo. Come ho detto la band era diretta, o comandata come preferisco pensare, dal cantante e, in parte, dalla sua compagna M. che pur non facendo musicalmente parte della band era un'amica e ci aiutava molto in tutto ciò che riguardava il gruppo.

Dall'altra parte il chitarrista Tax e io eravamo sempre più stanchi degli slogan gridati e francamente poco "vissuti" a livello individuale: personalmente, tra un'attacco di panico e l'altro, era difficile per me impegnarmi veramente "contro il potere", ero troppo impegnato a cercare di sopravvivere, anche perché a differenza di molti degli scanditori di slogan del punk italiano, non venivo mantenuto dai genitori, ma dovevo anche provvedere in modo per altro assai complicato al mio stesso mantenimento.
Comunque alla fine senza troppe cerimonie silurammo P. e io finalmente subentrai alla batteria, il mio strumento d'elezione.

La "scusa", perché vista oggi di quello si trattò, era che lei non fosse abbastanza "politicizzata". D'altronde nel Quinto Braccio vigeva una vera e propria linea politica e deviare da quella non era concepibile, pena la fine della band o, appunto, l'espulsione. Io, Ipocrita Numero Uno, ero felice di riappropriarmi finalmente dei miei adorati tamburi e di aver contribuito ad eliminare dalla band la mia odiata oramai-quasi-ex-coinquilina, con la quale le tensioni dell'abitare insieme erano arrivate a livelli intollerabili per entrambi.


5° Braccio (Torino, 1982)



Dopo che P. se ne andò dal Quinto Braccio sbattendo giustamente la porta dai 15 metri quadri senza riscaldamento (topaia nella quale continuai ad abitare da solo sino al maggio del 1983) ci trovammo di fronte il problema di trovare un bassista che rispondesse ai requisiti della band. [Per la cronaca: da allora non rividi mai più P.]
Devo dire che nonostante a Torino in quel periodo il "giro" punk si fosse allargato moltissimo, non ricordo ci fosse proprio la coda per entrare nella band...
Così a me venne in mente quel F. bassista-cantante dei Fiori del Male di cui sopra. F. non era esattamente un mostro al basso, ma si impegnò tantissimo e con una dedizione encomiabile e, bene o male, imparò i brani e con la nuova formazione effettuammo alcuni memorabili concerti.
Come per esempio quello a Torviscosa, di cui un'estratto registrato pessimamente si può ascoltare qui sotto:



La narrazione si sta facendo più lunga di quanto credessi quando ho iniziato, aggiungo continuamente cose, ricordi, considerazioni e i pezzi, già scritti, si stanno allungando parecchio; ma mentirei se dicessi che mi sta dispiacendo scrivere queste cose...
Per ora finisco qui, il prossimo capitolo tra pochi giorni.


Orlando Furioso (2017)

>>>PARTE PRIMA>>>
>>>PARTE TERZA>>>
>>>PARTE QUARTA - FINE>>>

una delle più raffinate prese per il culo del punk (1978)