mercoledì 9 giugno 2021

POMPEI, di Toni Alfano

 Posted: 20 Oct 2014 12:40 PM PDT

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Pompei

di Toni Alfano


vol. brossurato
136 pag., bicromatico
(b/n + rosso)


euro 17

Neo Edizioni


“Durante l’estate del 79 d.C. Pompei fu sommersa da una marea scura di lapilli… […] Quanto segue non è la rievocazione di un fatto del passato, ma il racconto dei nostri giorni, dei nostri drammi individuali e sociali, attraverso quel simbolo.”
(Pompei, pag. 7)

Finalmente.

E’ bellissimo leggere fumetti che piacciono (tautologico, I know…), è stupendo leggere fumetti che oltre a piacere fanno anche pensare.
Invece leggere fumetti che ti prendono a sberle in faccia, cos’è?

Vediamo, magari ci arriviamo dopo, magari no.

Comincio dall’inizio.

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Ci sono dei fumetti con una copertina che urla direttamente ai miei sensi – e alla mia avidità – e pur senza sapere alcunché di quello che sta “sotto” la copertina, Voglio Assolutamente Avere quel volume
Nel caso specifico: Pompei, di Toni Alfano.

Chi segue Fumetti di Carta sa bene che non c’è molto di “razionale” nel modo in cui scelgo le mie letture e non è raro che le mie scelte siano dettate da questioni tutt’altro che ponderate.
Ebbene, non voglio arrivare a dire che la copertina di Pompei “valga da sola il prezzo del volume” (ché, oltretutto, sarebbe offensivo nei confronti dell’autore, che oltre la copertina ha prodotto altre 136 pagine, ognuna della quali degna di essere letta/guardata, ma ci arriviamo dopo), ma dichiarare che questa cover ha un fascino enorme ed è stata “la molla”, quello sì, lo dico.

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Penso che un’opera una volta finita tra le mie mani sia proprio “mia”, posso cioè farne ciò che voglio e la leggo/guardo/ascolto (= interpreto) come voglio, come posso e come so. Come sento, insomma.
Certo, il “rischio” (per chi?) è quello di “travisare”, in parte o completamente, gli scopi originari dell’autore, ma in definitiva – pare brutto dirlo, ma io la penso così – l’autore non ha più voce in capitolo. La voce ce l’ha già messa nella sua opera [1], è quella e solo quella che parla per lui/lei, se ha altro da dire non ha che da realizzare un’altra opera. Oppure farsi ospitare da un talk-show, che comunque io non guarderò.

Su questo blog parlo solo di ciò che mi è piaciuto e Pompei non sfugge a questa regola.
Solo che, in questo caso, il termine “piaciuto” è decisamente inadatto, e incompleto, per (cercare di) definire le sensazioni, e la sensazione generale, che quest’opera mi ha provocato.
Perché certo, eccome se m’è piaciuto, ma mi è ha anche provocato sofferenza. Non è stata una lettura semplice e indolore, specie la seconda rilettura, che mi ha permesso di penetrare ancora più a fondo l’opera e soprattutto di affinare la mia personale interpretazione.

Da cui la domanda iniziale: “cos’è” un fumetto che ti prende a sberle in faccia?
La questione posta in modo così semplicistico, ne sono consapevole, non significa nulla; d’altronde non è facile (cercare di) spiegare determinate sensazioni, che sono così personali, intime e in un certo senso “pericolose” da sciorinare pubblicamente.
Ma ci tengo (molto) a segnalare quest’opera a fumetti, quindi mi ci provo, con la coscienza che non so bene dove andrò a parare: sto improvvisando!

Non sempre rileggo immediatamente un’opera a fumetti, ma nel caso di Pompei è stato quasi inevitabile, visto che la prima lettura mi ha lasciato addosso stupore, meraviglia e confusione.
Andiamo avanti.

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Pompei è formato da cinque capitoli e, credevo durante la prima lettura, non racconta una storia. Non in modo lineare, perlomeno.
Il primo capitolo – Io non esisto - è introdotto da un versetto dell’Uttara Gita: con questo Toni Alfano si guadagna la mia istintiva simpatia (la mia prima e primeva passione è la cultura Indiana antica, credo di averlo ripetuto sovente).
Il titolo del capitolo dice molto ed è da questa terrificante asserzione che l’autore comincia a indicare la via per un viaggio attraverso una spirale cosmica che si concluderà nell’ultima pagina. Ma il percorso sarà, ripeto, tutt’altro che lineare.

“Sei nato senza volerlo […] Hai impiegato la tua bellezza in qualcosa in cui non credevi. Qualcosa che ti ha consumato fino a renderti inoffensivo. Qualcosa che ti ha impedito di divenire te stesso.”

Da questa asserzione, comincia il viaggio, rituale, iniziatico, di vita, di morte, di consapevolezza, di passione. Di amore anche.

Potrebbe sembrare che le immagini si susseguano senza una catena logica, ma i testi pur nella loro complessità, nel loro essere talvolta quasi ermetici, si fondono con le immagini e raccontano non tanto una storia, ma forse un archetipo di storia. Non aspettatevi, come sempre, ma stavolta a maggior ragione, alcun tipo di “riassunto”. Non tenterò nemmeno di provarci, mi spiace. 

Sono certo che, e ne ho avuto consapevolezza specie alla seconda lettura, Pompei nel suo susseguirsi di capitoli dai titoli così strani e complessi, parlasse “proprio” di me!

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Toni Alfano prende delle figure e lavora sul loro significato, ci lavora intorno e dentro, le trasforma in qualcosa di originale e di straniante ma archetipico allo steso tempo: un effetto straniante che parla direttamente alla testa e contemporaneamente al cuore. Se si vuole ascoltare, s’intende.
Non è un meccanismo, un modo di comunicare inventato dall’autore, la sua originalità non sta in questo, dato che molti autori e autrici di fumetti underground, dagli Anni 60 in poi, hanno utilizzato questo tipo di “collage grafico-emotivo” (che termine orrendo… ma non so cos’altro usare, e soprattutto spero che le immagini qui inserite siano più chiare del mio balbettio…) per uscire dai rigidi schemi del fumetto. L’originalità dell’autore sta nell’arte di assemblare tutto questo, rendendo Pompei un qualcosa di assolutamente unico nel panorama fumettistico italiano attuale.

Certo: è un fumetto strano quello di Toni Alfano, non è facile, non “intrattiene”, non lo consiglierei “a chiunque” (come faccio molto spesso), può turbare – con me l’ha fatto – e probabilmente abbisogna di più letture per essere assimilato appieno. Tutte cose positive, a mio modo di vedere. Parlavo di sberloni: sono proprio quelli che provocano cambiamenti e soprattutto reazioni, non è vero? Pompei è piuttosto spietato e non ha nulla di “carino”.

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Parliamo di stile? O, in questo caso, non sarebbe forse meglio parlare di stili?
Nei cinque capitoli troviamo una variegata alternanza non solo di stili, ma di giustapposizioni di immagini e di immagini-e-testo ed è difficile per chi legge – o per lo meno lo è per me - stabilire un canone comune e definito: la mia sensazione è che l’autore, nella maggior parte del volume ed escludendo i disegni suoi realizzati all’uopo, prenda delle immagini e le lavori sino a farle diventare
altro da quelle che erano in origine, caricandole magicamente di simboli e di senso.
Contorto?
Contorte sono le mie parole, non necessariamente il lavoro dell’autore.

“Sono stato a Pompei e ho avuto paura, perché la rabbia brucia i sogni di chiunque e carbonizza gli angeli appollaiati alla vita. Ho avuto paura.”

Il secondo capitolo è Trasumanar Riorganizzar, titolo che cita Dante e Pasolini, e mi sembra autobiografico. Dico questo perché è forse l’unico capitolo nel quale non mi sono riconosciuto, nel quale l’autore non parlava di me. Forse. Un flusso di coscienza? Ricordi e sensazioni legate ad eventi vissuti dall’autore? Comunque vi ho trovato citazioni e situazioni, se non mie, che posso pur sempre riconoscere, magari guardando un po’ dall’esterno, prima di farmi riassorbire dagli intensi capitoli successivi.

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Onironautica, splendido titolo per il terzo capitolo, inizia invece con una delle frasi-simbolo (e mitiche) di Walt Disney e, contraddicendo tutto quello che ho scritto finora, possiede una sua linearità e i disegni mi sembrano opera della stessa mano. E’ forse il capitolo più immediatamente comprensibile ed è diviso in quattro parti, la seconda delle quali mi ha colpito come una sferzata in piena faccia. Disegni cupissimi e immagini di uno o più inferni che, a ben scrutare nel profondo, probabilmente conosciamo. Chi più, chi meno… Mentre la terza parte è quella più, se vogliamo, dolce, ci sono una mamma e un bambino, e poi la quarta parte, selvaggia, sensuale e sessuale… e alla fine del capitolo si comprende, io per lo meno ho compreso, che tutto era (è) collegato e faceva parte dello steso flusso.

Il quarto capitolo, Zeppelin, è poetico e simbolico e pare ambientato in un futuro che non è mai esistito, o forse che non è ancora esistito; un volo nel cielo con un mezzo inusuale – uno Zeppelin appunto; tanto testo, tante immagini, molti riferimenti alla paura e ritorna la citazione al mattone rosso che compare nel primo capitolo e forse altrove (mi attende, stasera stessa forse, una terza rilettura di Pompei) con un “finale” che… oh, non è possibile riassumere, mi spiace.

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L’ultimo capitolo è Molok, La Sorgente. Anch’esso introdotto da una citazione (stavolta di Tolstoj). E’ incredibilmente intenso e per me è stato doloroso leggerlo e rileggerlo.

“…la consuetudine umana […] non tollera il paradosso. Non sopporta che “questo” sia al contempo “quello”. “

E’ in quest’ultimo capitolo che si chiude il cerchio, o che si giunge all’estremo della spirale. E’ in quest’ultimo capitolo che l’autore abbandona per un momento la comunicazione esoterica per lasciarsi andare a dichiarazioni essoteriche [2], come questa:

“Avevamo finalmente capito una cosa: in quel percorso infinito, la strada giusta era semplicemente “fermarsi” […]”

Sono, stavolta, persone, due persone riconoscibili a compiere l’ultimo tratto di strada, a – in qualche modo – spiegare quello che fin lì è accaduto. Sino a giungere al devastante finale, catartico, magnifico e terrificante. Perché, essendo ora l’opera “mia”, quel finale così dolce e poetico mi ha spaventato e turbato quasi fino alle lacrime, perché ha dilatato una ferita che è profonda e forte in me, ma che è presente in ogni creatura umana sin dal giorno della propria nascita.

Pompei è un’opera di straordinaria intensità e che in modo straordinario mi ha colpito. Un viaggio da fare, comunque, prima o poi. Complimenti sinceri all’autore. E grazie.

Orlando Furioso (Ottobre 2014)

 

Note:

[1] Intendo anche le scelte stilistiche, la scelta editoriale, il formato, le modalità di vendita e distribuzione: insomma ogni scelta e situazione direttamente collegata all’opera.

[2] Quella “s” in più cambia tutto, non dimentichiamocelo. Oppure, come ebbe a dire un giorno una specie di filosofo buddista da salotto: “Tutto ciò che è esoterico, è essoterico”… ?

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