NEW YORK DIARY
di Julie Doucet
brossurato con alette
104 pg., b/n
13,90 euro
Purple Press
"Ho chiuso con i fumetti perché ne ero completamente nauseata”
Per
la prima volta viene pubblicato in Italia, in una bella edizione da
Purple Press, il lavoro di un'artista - e questo delicatissimo termine
non è usato a caso - che si propone(va) in un modo estremamente
interessante e originale.
Dopo la lettura di New York Diary la
perentoria dichiarazione riportata in apertura, tratta dalla
postfazione-intervista a Julie Doucet al termine del volume , a cura di
Giulia Zappa, assume un valore ancora più drammatico.
Come
suggerisce il titolo stesso del volume, l'autrice, canadese francofona
di Montreal, racconta il suo anno a New York (il 1991), partendo da
antefatti risalenti al 1983. Sembra non avere dubbi sullo stile, sulla
scrittura, sui temi e sul tipo di rappresentazione da usare: i suoi
fumetti danno l'idea di essere realizzati con un assoluta sicurezza. Il
suo uso del bianco e nero è davvero potente e suggestivo, debitore a
certa scuola (ex) underground, quella graficamente più graffiante.
Il
nero domina in ogni vignetta al punto che sembra di guardare disegni
fatti con china bianca su carta nera, disegni fatti "per sottrazione";
come se in ogni tavola ci fosse originariamente tutto, ma proprio tutto e
poi l'autrice togliesse qualcosa e poi ancora qualcosa, fino ad
arrivare a un pieno-di-cose che è ancora vicino al tutto, ma non al
punto di impedirne l'intelleggibilità.
Le poche, sgranate
vignette riportate a corredo di questa recensione rendono appena l'idea
dell'iperrealtà rappresentata da Doucet: la successione delle tavole dà
realmente l'idea di movimento, interiore ed esterno, al punto da far
quasi girare la testa.
Il "tutto" che c'è nel libro-diario di Doucet
è un tutto sia mentale che fisico: è sorprendente quanto l'autrice si
metta a nudo senza abbellimenti o mitologizzazioni di sorta.
Il
diario è un puro resoconto dei fatti e non necessariamente dei fatti
maggiormente accattivanti o "leggibili", benché ovviamente ci sia una
selezione a monte di quali siano i fatti da narrare e quali quelli da
omettere (così come in ogni diario).
Non compie un'opera di
novelization che renda l'eroina, cioè l'autrice stessa, bella forte e
vincente né siamo di fronte a un percorso di sofferenza che porta a un
lieto fine. Anzi, al di là della veloce descrizione dei rapporti
dell'autrice con i vari "mostri sacri" dell'(ex)underground fumettistico
newyorchese - Art Spiegelman, Charles Burns, Leslie Sternbergh, Glenn
Head.... - parte, questa, che certamente solletica il lettore "colto",
il resto del racconto è quanto di più intimo e a-mitologico si possa
immaginare; quindi vero.
Eppure tutto quello che racconta Doucet
sarebbe oro puro per qualsiasi sceneggiatore italiano alle prime armi
con la tentazione di "esotizzare" storie e idee altrimenti poco
attraenti: New York, i fumetti, la droga, l'epilessia, il sesso
promiscuo...
Tutte queste cose così appetitose per un qualunque
carneade nostrano vengono descritte dall'autrice per quello che
rappresentano in un immaginario che di esotico ha poco o nulla. New York
è invivibile, caotica, pericolosa, sporca oltre ogni limite, ha
distanze imense che la rendono difficilmente percorribile; la droga è
noiosa, pura dannosa routine; fare fumetti è un lavoro con poche
attrattive e il sesso, beh quello è ok, quando non trasmette certe
fastidiose malattie; l'epilessia è una malattia per niente cool.
Julie
Doucet ha per le cose uno sguardo disincantato, forse troppo
disincantato per la giovane età che aveva quando realizzava i suoi diari
a fumetti (circa 25 anni) ma nonostante le delusioni, gli entusiasmi
presto scaduti nella routine (il corso d'arte all'università), gli amori
rivelatisi gabbie rigide, le debolezze e le dipendenze dalle quali non è
facile affrancarsi (droga, routine di coppia, pigrizia) non le manca la
consapevolezza di ciò che vuole e di ciò che prima o poi dovrà pagare
per ottenerlo.
Cos'è che differenzia New York Diary da tutti quei
fumetti che vanno tanto di moda adesso nei quali l'autore si ripiega su
se stesso con l'angolazione giusta per togliersi coscienziosamente
tutti i pelucchi dall'ombelico?
Doucet lascia le Grandi Considerazioni
Sulla Vita E L'Universo al lettore, lei è troppo occupata a realizzare
storie autentiche, vissute, vere, con le quali è possibile identificarsi
e sentire una comunione spirituale e culturale in barba alle coordinate
spazio-temporali. In uno stile grafico tremendamente affascinante nella
sua complicata semplicità. Il complesso esprime sensazioni forti e
talvolta oppressive, ma assolutamente vive e viventi, non è raro
sentirsi "strattonati" durante la lettura e ci sono anche momenti di
(dura) ironia che strappano sorrisi a denti stretti. Un lavoro che non
può lasciare indifferente nessuno (e da non dare in lettura ai propri
bambini, va da se'...)
Da anni Julie Doucet non fa più fumetti,
ha tenuto fede alla "nausea" della dichiarazione qui sopra. Si occupa di
incisioni su legno, serigrafie, stampe, sculture; ha alle spalle
un'abbondante produzione di libri d'arte, mostre individuali e
collettive.
Comunque sia, una perdita per il Fumetto. L'importante è che lei sia felice.
Orlando Furioso
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