martedì 8 giugno 2021

Children of the Sea

 Posted: 13 Apr 2014 02:33 PM PDT

Children_of_the_Sea_coverChildren of the Sea – vol. 1 (di 5)

(海獣の子供 Kaijū no Kodomo)

di Daisuke Igarashi

serie di 5 vol. conclusa in Giappone

seinen, drama, supernatural

brossura con sovraccoperta
circa 310 pag. b/n (2 a col.)

euro 9,90

Planet Manga / Panini Comics


La lettura di questo splendido manga mi ha provocato pensieri che io stesso faccio fatica a collegare in un insieme logico. Come per esempio questo: non ricordo un momento in cui l’offerta di fumetti sia stata così massiccia e varia. Ho vissuto personalmente il dramma dei primissimi Anni 80 PdF (Prima delle Fumetterie), quando recarsi in edicola significava avere una “scelta” di fumetti pari a quattro Bonelli in croce, due porno ricalcati e qualche Disney. Ora mi sembra l’Età dell’Oro!

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Dopo l’abboffata degli Anni 70, forse oggi un tantino troppo glorificati [1] e le varie crisi(s) dei Novanta, oggi come oggi l’offerta di fumetti è massiccia, differenziata e tutto sommato la qualità è mediamente buona. In alcuni casi, come nel caso del manga di cui vado a cercar di parlare, la qualità è molto elevata e offre un’esperienza di lettura gratificante e stimolante.

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Ho tirato in ballo i mitici e mitizzati Seventies perché, per un mio personale e ingiustificato vaneggiare e vagheggiare mi sono un po’ fissato sull’idea che Children of the Sea di Daisuke Igarashi sarebbe stato perfetto serializzato su una delle rivista di fumetti degli Anni 70 o 90 [2]. Ho premesso prima: vaneggiare e vagheggiare, pensieri casuali, associazioni fortuite e probabilmente forzate, io per primo le prendo per quello che sono: un gioco. Quel bianco e nero intenso e magico, i brevi capitoli, il ritmo della storia… su una rivista italiana la serializzazione di questo manga avrebbe incantato lettori e lettrici come, spero, faranno i cinque volumi?

I “nemici-pregiudiziali-dei-manga” (quelli che li detestano per partito preso senza averne mai letto uno per intero) sono sempre in agguato per (cercare di) sminuire, banalizzare, “tifare” acriticamente per qualsiasi altra cosa non sia un fumetto giapponese, pronti ad affibbiare alla “sovrabbondanza” di questo tipo di materiale la “colpa” di sottrarre spazio ad altro, un “altro” che spesso è qualitativamente ben inferiore a opere come quella di cui parlo in questo scritto.
Chissà se la serializzazione su autorevoli e mitizzate riviste avrebbe fatto loro cambiare idea?…

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Torniamo sulla terra, anzi in questo caso sott’acqua: dalle pagine di  Children of the Sea si sprigiona un potente spirito esoterico, ben più che esotico, e le profondità marine non sono le uniche inquietanti profondità da scoprire ed esplorare. Ma sono certamente le più belle!
Non so dire quanto sia stato difficile selezionare le immagini a corredo di questo scritto (come sempre, tratte da scan inglesi: non voglio rovinare la mia copia strapazzandola con lo scanner), tante e talmente suggestive sono le tavole di questo manga: quasi ogni vignetta possiede, un’intensa capacità di trasmettere emozioni ed enigmi; ne avrei messe a decine e decine per farvele vedere.

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Daisuke Igarashi è capace di trasmettere tantissimo nei/coi suoi disegni, che sono bellissimi (parola che, so bene, non vuol dir nulla: apposta ci sono qui sopra e sotto delle immagini). Il mare – sia in superficie che nelle sue profondità, nelle sue onde e nella risacca e nelle sue creature - è reso con un’espressività rara e il suo uso “acquerellato” di fondi e soggetti immerge chi legge in un’atmosfera surreale e magica, profonda, avvolgente e misteriosa. In molte immagini Igarashi esce volentieri dagli stereotipi più diffusi prediligendo una narrazione espressionista, visionaria. Pur non osando nulla di particolarmente azzardato nella costruzione delle tavole e nella sequenza, riesce a mantenersi distantissimo da qualsiasi banalità. Questo nonostante il mare sia un soggetto tutt’altro che facile da rappresentare, da raccontare in modi non triti e schematici.
Il mare, e le sue profondità, ci vengono descritti in modi che possono persino stordire e farci fermare per lunghi minuti a contemplare una tavola o che solo una vignetta.

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Non solo i disegni, ma anche la storia è affascinante, misteriosa, dolcemente contorta (quel tanto che basta a farci ulteriormente incuriosire), inquietante e con tempi e scansioni di tempo perfettamente gestiti e scorrevoli; fluidi direi, anche per restare in tema.
Ho cominciato a leggere il volume, che è ha molte pagine, pensando che non l’avrei terminato in serata. Ma una volta cominciato non sono stato in grado di interrompere perché la storia mi ha completamente catturato, assorbito sarebbe anzi il termine più giusto. E non c’è stato un solo punto in cui mi sia annoiato o abbia desiderato una velocizzazione (o un rallentamento).

E, sottolineo il concetto, ho trovato la storia parecchio inquietante. Molto più di quanto sembri a una prima lettura.
Siamo in presenza di alcuni misteri dei quali, per ora, non s’intravede granché, ma le ipotesi che legittimamente possono affiorare durante la lettura non sono necessariamente rassicuranti.
D’altronde l’acqua è una delle dei più grandi fonti di mistero: dalla mitologia alla psicologia del profondo alla magia, l’acqua è un simbolo potentissimo e terrificante, profondo e invincibile e lo è sin dai primordi dell’umanità.

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“Il Mare è abitato da creature sovrannaturali” [K.B. Sodes, ex cameramen subacqueo]

Luci nel mare. Meteoriti. Creature marine così simili agli umani. Lo shining. Fantasmi del mare…
La storia comincia – più o meno - con Ruka, una liceale (che risulterà essere alquanto diversa delle “solite liceali dei manga”) che annoiata e intristita per la sua recentissima cacciata dalla squadra di pallamano che coincide proprio con le vacanze estive, decide di recarsi a Tokyo a “vedere il mare”… desiderio ovviamente non improvviso né immotivato, ma derivato da precedenti, misteriose, antiche “visioni”. Inoltre il rapporto di Ruka col mare passa anche attraverso il mestiere di suo padre – Masaaki – che lavora nell’acquario Enokura, nel quale si susseguono degli strani quanto inspiegabili sparizioni di pesci.

Giunta a Tokyo Ruka incontrerà Umi (“mare”), un misterioso ragazzo di pelle scura, un individuo speciale che forse riesce a leggerle nei pensieri.
Poco dopo conoscerà anche Sora (“cielo”), fraterno amico di Umi che con lui condivide una particolarissima esperienza infantile con dei mammiferi marini [3]. Entrambi i ragazzi hanno un rapporto vitale col mare, un rapporto quasi di dipendenza.
Speciale e ambiguo è anche il legame che si instaurerà tra i due ragazzi – che hanno opposto carattere, oltre che opposte sembianze - e la ragazza.

Certo Kanako, la bellissima madre di Ruka, non sarà contenta di scoprire che la ragazza invece di allenarsi con la squadra di pallamano si reca tutti i giorni a trovare Umi e Sora e la punizione per Ruka sarà dover lavorare nell’acquario Enokura insieme a suo padre.
C’è anche Jim, dall’età indefinita (ma è certamente un personaggio anziano), biondissimo, tatuato e occidentale, surfista, una specie di vagabondo che, anch’egli, ha uno speciale e strano rapporto con Umi e Sora, i due “ragazzi marini”.

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…e poi la storia continua, intricata, sospesa in un’atmosfera tra il lieve, l’incantato e la sensazione di un terribile disastro incombente, con molti misteri da chiarire e intrecci tra avvenimenti anche molto distanti nel tempo e nello spazio.

Una cosa che ho apprezzato enormemente nella lettura di Children of the Sea è che non mi ha ricordato nessun altro manga e che ogni tematica o argomento trattato o solo accennato mi ha dato una rigenerante sensazione di originalità. Tutto è intenso pur senza forzature (nonostante l’indubbia presenza del sovrannaturale) e se ci sono “trucchetti del mestiere”, sono ben mimetizzati.
Inoltre ho molto apprezzato il ritmo, così lento, denso e avvolgente, visionario come i disegni, che pare seguire il flusso e il riflusso delle onde marine.

Che meraviglia.

 

Orlando Furioso (Aprile 2014)

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Note:

[1] Si pubblicavano anche un bel po’ di boiate in quegli anni eh! Capisco, e molto bene, la nostalgia e l’affetto per un passato che mai più tornerà, ma non era tutto oro colato ciò che usciva all’epoca. Con occhi e cuore nostalgici, si tende a “rivalutare” un po’ troppo e a far scendere le capacità critiche sotto le ginocchia. Un conto è andare pazzi per qualcosa che abbiamo amato, che è stato importante per noi, che ha diritto al nostro incondizionato affetto e che nessuno ci può togliere; un altro è affermare che ogni cosa per la quale proviamo affetto e nostalgia fosse “un capolavoro”.

[2] 1984, per dire; o Metal Hurlant o L’Eternauta o Eureka… ma soprattutto penso a Horror di Gino Sansoni (quello non ancora intasato dalla troppa satira).

[3] …i miei “riassunti” superano abbondantemente il “pessimo”… ne sono consapevole e me ne dispiaccio…

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